Che cosa hanno in comune Boris Johnson, Mario Draghi e Kaja Kallas? I primi ministri di Gran Bretagna, Italia ed Estonia sono i leader di governo più guerrafondai e filo-Nato di tutti (assieme alla Commissione UE) e tutti e tre sono caduti o stanno cadendo. Boris Johnson si è dimesso da capo del partito e quindi, automaticamente da capo del governo, mentre rimarrà a Downing Street solo fino a quando non verrà eletto il successore. Mario Draghi starebbe già sotto l’ombrellone se il Presidente Mattarella e i mercati finanziari riuniti non lo avessero costretto a cercare di ricucire la coalizione. L’estone Kaja Kallas lo ha già fatto, dopo che la maggioranza precedente si era sgretolata sotto il peso dell’inflazione (22 per cento), ma non vivrà a lungo.
Inflazione, crisi energetica e timore di una guerra generale: i nodi sono venuti al pettine. Si potrebbe citare la famosa frase di James Carville, manager della campagna elettorale di Bill Clinton nel 1992: “È l’economia, stupido”, a riprova che in democrazia i governi vengono rovesciati dalle crisi economiche.
E che dire del governo tedesco? Emergono i primi crepacci nella coalizione rosso-giallo-verde, con i liberali dell’FDP che chiedono la sospensione dell’uscita definitiva dal nucleare e i sondaggi che danno ad oltre il 60 per cento la quota di popolazione contraria all’embargo energetico contro la Russia, una percentuale che crescerà ancora se il governo, come ha preannunciato, procederà col razionamento di gas e elettricità nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
La presidente dello Schiller Institute, Helga Zepp-LaRouche (foto), ha nuovamente chiesto l’annullamento delle sanzioni contro la Russia. Se i governi tengono davvero ai “valori occidentali” di cui si riempiono la bocca, devono ammettere che le sanzioni hanno mancato lo scopo e stanno danneggiando i propri cittadini più della Russia, che sta riconvertendo la propria economia.