Al termine della riunione informale dei leader dell’UE del 4 febbraio, il Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato la decisione di allentare le regole sul deficit per le spese della difesa. “Sono disposta a esplorare – ha detto la von der Leyen – e utilizzerò l’intera gamma degli strumenti di flessibilità che abbiamo nel nuovo Patto di stabilità e crescita per consentire un aumento significativo della spesa per la difesa. Inoltre, la seconda tappa è che stiamo lavorando con la BEI per aumentare la flessibilità delle pratiche di prestito. E, naturalmente, abbiamo bisogno di maggiori finanziamenti privati; quindi, dobbiamo dialogare con il settore bancario privato, in modo che modernizzi le sue pratiche di prestito”.
In questo modo è stato infranto un tabù che durava da decenni nell’UE. L’austerità fiscale è stata un pilastro indiscusso dell’architettura finanziaria dell’UE, richiesta dalla Germania come condizione per l’adesione alla moneta unica, e tutti gli sforzi per cambiare questo sistema intrinsecamente deflazionistico erano finora falliti, di fronte al rigido approccio monetarista di Berlino, Bruxelles e Francoforte.
Tuttavia, c’è una differenza fondamentale tra la creazione di un bilancio separato per gli investimenti, richiesto da molti per favorire la crescita, e la proposta di Von der Leyen. Creare denaro per finanziare il riarmo è una politica improduttiva e inflazionistica, come impara (o dovrebbe) ogni matricola di economia all’università. Separare tali spese dalla contabilità del deficit non cambierà il risultato. Tra l’altro, questo è quanto Hjalmar Schacht fece per Hitler. Ma non si può pretendere che la Von der Leyen capisca l’economia. Infatti, ha semplicemente adottato l’“agenda Draghi”, che l’ex banchiere centrale europeo ha delineato nel suo rapporto 2024 sulla “competitività”. In tale rapporto, Draghi ha suggerito di abbandonare l’austerità fiscale per finanziare il riarmo e le politiche climatiche.
Seguire le raccomandazioni di Draghi, tuttavia, non è un buon consiglio. Il suo curriculum come banchiere centrale e primo ministro è un caso da manuale di malgoverno. Principale autore delle fallimentari privatizzazioni italiane successive alla famosa riunione sul “Britannia”, promosso a governatore di Bankitalia firmò il nulla osta per consentire a Monte dei Paschi di rovinarsi nell’acquisto di banca Antonveneta. A Francoforte, è stato l’autore del salvataggio dell’euro “whatever it takes”, che ha trasformato la BCE in un hedge fund e ha creato un potenziale iperinflazionistico. Come Presidente del Consiglio è stato a livello europeo tra i più feroci promotori delle sanzioni contro la Russia e quindi massimo responsabile degli alti prezzi dell’energia che stanno distruggendo l’industria europea. È diventata famosa la sua frase “o i condizionatori o la pace”, che ha portato a niente condizionatori e niente pace.
Infine, ma non meno importante, Draghi è stato decisivo nell’avviare la de-dollarizzazione, in quanto ha convinto, a nome dell’UE, il segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen ad attuare un sequestro delle riserve in dollari possedute dalla banca centrale russa all’estero. Questa decisione è stata la molla che ha spinto i Paesi del Sud globale a iniziare a diversificare i propri asset, per sfuggire a simili sanzioni in futuro. Come un ex banchiere centrale abbia potuto avviare una dinamica così epocale, che alla fine ridurrà la preminenza del dollaro USA nel sistema finanziario mondiale e addirittura ne minaccia un tracollo, è materia da psichiatri.