Al momento in cui scriviamo mancano ancora alcuni giorni all’insediamento di Donald Trump, ma gli effetti della sua presidenza si stanno già facendo sentire in tutto il mondo, in termini di disintegrazione del cosiddetto “ordine basato sulle regole”. Questa si sta concretizzando nella rapida evoluzione delle aree di conflitto verso una possibile soluzione, come in Ucraina e nell’Asia sud-occidentale, nella rottura del controllo da parte dell’establishment liberale sui social media e nella fine della truffa globale della “transizione verde”.
Come ha sottolineato l’ex ispettore delle Nazioni Unite e combattente per la libertà Scott Ritter in un’intervista video con Helga Zepp-LaRouche l’8 gennaio, la presidenza Trump cambierà le carte in tavola, in particolare perché il Capo di Stato entrante non solo si è impegnato a fermare le guerre dell’America all’estero, ma vuole anche eliminare le agenzie che creano le guerre che gli Stati Uniti sarebbero poi chiamati ad intraprendere. Egli ritiene che la NATO, ad esempio, non sopravviverà a un’amministrazione Trump.
Ma se Donald Trump sarà un disgregatore dell’ordine costituito, non è chiaro con che cosa questo verrà sostituito. Quindi, oggi più che mai, per l’Umanità vale il significato cinese della parola “crisi”, ovvero sia quello di pericolo che di opportunità. Tutto dipende dalla qualità della leadership.
Da questo punto di vista, quella prigione di Stati nazionali chiamata Unione Europea non potrebbe essere più lontana dall’ispirare ottimismo. Da un lato, l’effetto dirompente del nuovo governo statunitense, unito alla pressione del Sud globale e alla crisi economica autoindotta, sta costringendo a cambiamenti nella leadership politica, dalla Francia all’Austria, dalla Romania alla Germania, fino alla rielezione plebiscitaria del critico dell’UE Zoran Milanovic in Croazia. Ma dall’altra parte, le élite si sono asserragliate nel bunker, aggrappandosi al potere con ogni mezzo. Come ha detto l’ex commissario europeo Thierry Breton in una recente intervista televisiva, “l’abbiamo fatto in Romania e ovviamente dovremo farlo se sarà necessario in Germania”, cioè, usare la cosiddetta legge sui servizi digitali per invalidare il risultato delle elezioni del 23 febbraio se l’AfD (Alternativa per la Germania) dovesse vincere, come è stato appena fatto in Romania.
La dichiarazione di Breton è una delle tante reazioni di panico alle esternazioni di Elon Musk a sostegno dell’AfD, compresa l’intervista su X con la leader del partito Alice Weidel. Come abbiamo scritto la scorsa settimana, accusare Musk di interferenza è molto ipocrita, visti gli anni di ingerenza europea nelle elezioni statunitensi, per non parlare dell’ingerenza aperta e incontrastata dell’establishment liberale statunitense in Europa.
In ogni caso, le poche settimane tra il 20 gennaio, data dell’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca, e il 23 febbraio, data delle elezioni politiche in Germania, saranno un periodo di crisi e di speranza. Lo Schiller Institute si batte, sia in Europa che negli Stati Uniti, per una fine ordinata, ma definitiva, dell’“ordine basato sulle regole” con le sue guerre permanenti e per una cooperazione vincente con la Maggioranza Globale.