Che effetto avrebbe una guerra nucleare sul clima del nostro pianeta? Se questa fosse la questione centrale da affrontare alla Conferenza sui cambiamenti climatici di Sharm el Sheikh, in Egitto, questa sarebbe un’iniziativa utile per il futuro della vita sulla Terra. Ma poiché non è così, la COP27 di quest’anno promette di essere una perdita di tempo come le precedenti, compresa quella dello scorso novembre a Glasgow. Soprattutto perché negli ultimi mesi la priorità dell’oligarchia finanziaria globale si è spostata sulla guerra contro la Russia e la Cina, accantonando rapidamente alcuni obiettivi climatici.
Tuttavia, dato che la conferenza si svolge in Africa, è stata data più attenzione del solito alle preoccupazioni dei paesi più poveri. È utile ricordare che i paesi africani sono responsabili solo del 4% delle emissioni di carbonio a livello mondiale, eppure si suppone che debbano sacrificare il proprio sviluppo per aiutare i paesi europei a raggiungere i loro obiettivi.
Il punto di vista della City di Londra è stato espresso dall’Economist in un articolo del 3 novembre, il cui lungo titolo dice tutto: “Il mondo sta mancando i suoi ambiziosi obiettivi climatici. È ora di essere realisti. Il riscaldamento globale non può essere limitato a 1,5°C”. Nei paesi sviluppati non ci sono abbastanza soldi per raggiungere questo obiettivo.
Per questo motivo, l’Economist se ne esce con una proposta irrealizzabile: far sì che i paesi a medio reddito, con un certo livello di sviluppo industriale (Brasile, India, Cina, Sudafrica, Argentina, Indonesia), collaborino con nazioni ricche “per mobilitare gli investimenti privati”. Il fatto è che i 100 miliardi di dollari all’anno di “finanziamenti per il clima” che i paesi ricchi hanno promesso di fornire nel 2010 non si sono ancora concretizzati!
L’ipocrisia delle élite occidentali che chiedono al Sud globale di ridurre il consumo energetico e di vietare lo sviluppo dei combustibili fossili è evidenziata in un articolo di Tejal Kanitkar e Ankita Ranjan, del National Institute of Advanced Studies di Bengaluru, pubblicato su The Hindu. In poche cifre, i due autori mettono a confronto le situazioni dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo.
“L’Africa subsahariana ha un consumo medio annuo di elettricità pro capite di 487 chilowattora (kWh), un tasso di mortalità infantile di 73 su 1000 nati vivi, un rapporto di mortalità materna di 534 su 100.000 nati vivi e un PIL pro capite di 1645 dollari. A confronto, il gruppo di paesi dell’OCSE ha un consumo di elettricità pro capite di 7.750 kWh, che corrisponde a un tasso di mortalità infantile di 7, un tasso di mortalità materna di 18 e un PIL pro capite di 42.098 dollari”.
Inoltre, sottolineano che negli Stati Uniti “l’81% dell’energia primaria proviene da combustibili fossili. In Europa, i combustibili fossili rappresentano il 76% del consumo energetico”. Inoltre, si prevede che il consumo di carbone negli Stati Uniti e nell’Unione Europea “aumenterà rispettivamente del 3% e del 7%” nel 2022.