La scorsa settimana, la Casa Bianca ha annunciato la creazione di un “Consiglio per governare la disinformazione” presso il dipartimento della sicurezza interna, decisione giustificata dal capo di quest’ultima, Alejandro Mayorkas, con l’intenzione di difendere il diritto di parola. Si, avete capito bene: per proteggere il famoso Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che garantisce agli americani il diritto di parola, l’amministrazione Biden ha creato un ente per esercitare ufficialmente la censura. A rendere la decisione ancora più surreale è stata la nomina a direttore di Nina Jankowicz, un’attivista politica che si è resa lei stessa colpevole di aver diffuso disinformazione.
La Jankowicz perfezionò gli studi con una borsa Fullbright a Kiev nel 2017, lavorando nel ministero degli Esteri ucraino per “contrastare la disinformazione straniera” (leggi “russa”). Poi ha lavorato come supervisore dei programmi su Russia e Bielorussia al National Democratic Institute, noto per aver mestato nelle cosiddette Rivoluzioni Colorate – in particolare assieme al National Republican Institute, nel golpe del Maidan nel 2014. Attualmente è esperta di disinformazione al Wilson Center e nel 2020 ha pubblicato un libro intitolato “Come perdere la guerra dell’informazione”.
La Jankowicz difese la credibilità di Christopher Steele, ex agente del MI6 autore del dossier-bufala contro Donald Trump, che fu pagato dalla campagna di Hillary Clinton. Quel dossier sosteneva che Trump fosse vittima di un ricatto sessuale da parte di Putin e ne sarebbe diventato il burattino se avesse vinto le elezioni. In seguito, fu completamente screditato.
Alla stessa stregua, la Jankowicz sostenne che i documenti ottenuti dal portatile di Hunter Biden, che dimostravano la partecipazione del figlio del presidente USA ad accordi corrotti con funzionari ucraini e cinesi e avrebbero potuto comprometterne il padre, fossero “il prodotto della campagna di Trump” e “disinformazione russa”. Recentemente, sia il New York Times che il Washington Post hanno scritto che le loro ricerche hanno portato alla conclusione che le informazioni ottenute dal portatile sono vere.
Perché creare un “ente per la disinformazione” proprio ora? Cresce il timore che il racconto propugnato contro Putin e la Russia faccia sempre meno presa e che gli USA e il Regno Unito stiano perdendo la guerra dell’informazione. Da qui, il bisogno di imbavagliare ogni opposizione al racconto dell’establishment. Ma la manovra potrebbe ritorcersi contro gli ideatori.
Al di fuori di Washington, la censura di punti di vista politici dissidenti operata da imprese “private”, come Facebook, Twitter, Reddit, Apple e Google, ora viene estesa direttamente alle transazioni finanziarie. Il primo maggio, PayPal ha chiuso il conto di Consortium News, un sito web che è il punto di riferimento per l’opposizione alla guerra nucleare e allo stato di polizia e annovera tra i suoi autori ex membri del governo e “whistleblower”. In precedenza, PayPal aveva chiuso i conti di Mint Press News e vari cittadini.