Mentre la COP26 si rassegnava ad accettare il fallimento del tentativo di far accettare a Cina e Russia la politica genocida di “decarbonizzazione, le élite malthusiane transatlantiche lanciavano una nuova provocazione contro Mosca, imbastendo una crisi al confine tra Bielorussia e Polonia. Alla luce dei due pesi e delle due misure dell’UE sui profughi, la questione di chi sia responsabile della presenza di migranti al confine bielorusso-polacco è quasi irrilevante.
Infatti, mentre Bruxelles promuove l’ingresso di migliaia di profughi al giorno attraverso i confini meridionali in Italia, tace sulla decisione polacca di costruire un muro al confine con la Bielorussia. Tutti ricordiamo la scena in cui la Sea Watch speronava la motonave della Guardia costiera nel porto di Lampedusa, mentre veniva incensata dai media e dalle istituzioni europee. Ma quando la polizia polacca picchia i profughi e li ricaccia indietro, incurante delle condizioni metereologiche estreme che hanno già fatto numerosi morti, è Minsk che Bruxelles accusa di usare “metodi da gangster” e gli Stati membri dell’UE inviano truppe in un atto di solidarietà con Varsavia.
Dietro questo doppio standard c’è una motivazione politica: alzare il livello dello scontro con la Russia. Il 15 novembre, i ministri degli esteri dell’UE hanno annunciato nuove sanzioni contro la Bielorussia e ne stanno valutando altre contro le compagnie aeree usate dai profughi per raggiungere Minsk: Aeroflot ed alcune linee aeree turche. L’agenzia polacca PAP ha riferito il 14 novembre che la Polonia si stava consultando con la Lituania e la Lettonia per invocare l’art. 4 della NATO, che prescrive l’assistenza mutua in caso di attacco ad un membro dell’alleanza. Questo, nel momento in cui la Russia conduce manovre militari con Minsk su territorio bielorusso. E non occorre essere complottisti per capire che la sospensione della certificazione del gasdotto Nord Stream 2, annunciato dai regolatori tedeschi il 16 novembre, abbia a che fare con questa crisi.
Il 13 novembre il Presidente russo Vladimir Putin, in un’intervista a Pavel Zarubin, ha chiaramente addossato la colpa della crisi all’Occidente. I problemi alla radice della crisi dei migranti, che sono politici, militari ed economici, sono stati causati dai Paesi occidentali, compresi quelli europei, ha detto, menzionando le guerre in Iraq e in Afghanistan. Putin ha anche sottolineato che la Russia “non ha assolutamente niente a che fare con tutto ciò. Si sta cercando di spostare la responsabilità su di noi, sfruttando il minimo pretesto o persino senza alcuno”.
Come ha rimarcato Andrey Kortunov (foto), direttore generale del Consiglio Russo per gli Affari Internazionali, alla conferenza dello Schiller Institute il 13 novembre, il primo passo per la de-escalation della crisi è che le due parti si parlino. Ma un anno fa l’UE, gli USA, il Canada e il Regno Unito hanno imposto sanzioni alla Bielorussia e non riconoscono Lukashenko come legittimo presidente. Come si fa a risolvere una disputa di confine se non si riconosce il vicino? Dopo tutto, le sanzioni contro la Siria sono il principale motivo per cui cittadini siriani fuggono dal loro Paese e cercano rifugio nell’UE attraverso il confine polacco.
In questo contesto, la decisione di Angela Merkel di parlare al telefono con Lukashenko il 15 novembre e la telefonata di 105 minuti di Emmanuel Macron con Putin sulla crisi bielorussa-polacca sono utili anche se insufficienti.