L’esperto di affari esteri per il Salon Magazine, Patrick L. Smith, ha scritto sabato che


“O ci troviamo sulla soglia di un conflitto dichiarato tra le due grandi potenze, scoppiato in modo accidentale o volontariamente e probabilmente anche se non necessariamente sul suolo ucraino, oppure ci troviamo in una riedizione della Guerra Fredda che durerà tanto quanto la prima”.

Ma Smith dovrebbe sapere che la seconda alternativa è soltanto una lodevole speranza; non v’è spazio per una seconda Guerra Fredda e il fatto di immaginarla prova che si sottovalutano le ragioni che spingono Londra a usare Obama per arrivare ad una guerra contro la Russia. A meno che Obama non venga destituito in tempo.

Nel suo articolo dell’8 agosto, Smith paragona questi giorni alla “guerra finta” durata dal settembre 1939, allorché la Gran Bretagna e la Francia dichiararono guerra alla Germania, al maggio 1940, quando la Germania invase i Paesi Bassi. Non perché vi sia qualcosa di “finto” nella guerra di oggi; anzi, è vero il contrario. Bensì perché, come allora, vi è una calma solo apparente, che scandisce il conto alla rovescia verso la prevista esplosione di un conflitto che sarebbe, dati i tempi, un conflitto termonucleare.

In un articolo precedente, Smith aveva notato che i rapporti tra Stati Uniti d’America e Russia si sono raffreddati dal mese di aprile.

Il Segretario di Stato Kerry andò a Soči in maggio per alcuni incontri con il Ministro degli Esteri Lavrov e un lungo incontro con il Presidente Putin, ma da allora Washington – cioè Obama – ha accresciuto le tensioni con la Russia. Lo stesso Obama che ha lodato Putin per la sua cooperazione nel raggiungimento dell’accordo sull’Iran nel giorno dell’annuncio, il 14 luglio scorso, due settimane e due giorni dopo, tramite il ministero del Tesoro americano, ha fatto aggiungere ventisei nuovi russi e società russe nell’elenco delle sanzioni. Il Pentagono e lo Stato hanno accresciuto i loro “sforzi per incoraggiare il governo di Porošenko a risolvere la sua crisi con i cittadini ribelli nell’Est dell’Ucraina che sono sui campi di battaglia”.


“Alcune settimane orsono, il ministro della Difesa Carter passò in rassegna le nazioni frontaliere in cui la NATO si accinge a dispiegare materiale bellico pronto per l’uso. Ecco i numeri: l’Alleanza Atlantica ha accresciuto gli esercizi militari in prossimità delle frontiere occidentali della Russia, da meno di un centinaio lo scorso anno – che è già un numero aggressivo – fino a oltre centocinquanta. I voli di ricognizione e gli esercizi dell’aeronautica che si sono spinti fino allo spazio aereo della Russia sono quasi decuplicati”.

Che venga citato Ashton Carter dovrebbe farci ricordare che Obama usa il ricambio di funzionari per meglio perseguire i suoi obiettivi. Carter è il nuovo ministro della Difesa, mentre il gen. Dempsey, Capo degli Stati Maggiori Riuniti, sarà sostituito il primo di ottobre.


“Il sistema missilistico europeo della NATO, benché modificato durante il primo mandato presidenziale di Obama, va avanti per la sua strada, ancora con la giustificazione della protezione del Continente da missili di corto raggio d’azione, lanciati dall’Iran. Potete immaginare chi debba essere raggirato con questa foglia di fico”,

ironizza Smith.

Il conto alla rovescia è in atto. La sola cosa che abbia un certo grado di certezza nel bloccarlo è la destituzione di Obama dalla Presidenza.

Come ha ricordato LaRouche recentemente, il XXV emendamento alla Costituzione americana fu approvato nel 1967 per destituire qualunque presidente che fosse “incapace di adempiere ai proprii poteri e doveri” per ragioni psicologiche o altre. Ora deve essere evocato per destituire Obama.

Dell’uso di questo emendamento v’è una comune e falsa interpretazione, che vorrebbe che solo il Vicepresidente potesse dare inizio alla procedura. In realtà è necessario che il Vicepresidente si unisca a una maggioranza di “alti funzionari dell’amministrazione esecutiva” nel concludere che il Presidente non è adatto all’incarico. Joe Biden non darà problemi, dice LaRouche. Egli sarà posto davanti alla scelta se unirsi al gruppo, o essere tra i primi a essere ucciso in uno scontro termonucleare.