Una delle accuse ripetute più spesso contro la Cina in Occidente è che Pechino abbia istituito “campi di concentramento” nella provincia occidentale dello Xinjiang, per reprimere l’opposizione al governo centrale tra la popolazione musulmana. In risposta, il governo cinese accusa sempre più spesso gli enti di intelligence occidentali, o parti di essi, di alimentare tale propaganda allo scopo di destabilizzare il Paese fomentando rivolte nello Xinjiang, proprio come si sta cercando di fare a Hong Kong. Tra i “soliti sospetti” sono il National Endowment for Democracy, con sede negli Stati Uniti, che fornisce sostegno finanziario alle forze separatiste nello Xinjiang, così come l’Australian Institute of Strategic Policy, per non parlare dell’onnipresente BBC, il cui principale “corrispondente nello Xinjiang”, John Sudworth, ha improvvisamente lasciato il Paese poco tempo fa, per paura di essere denunciato per diffamazione dalle imprese dello Xinjiang, di cui aveva scritto. Innumerevoli altri media del mainstream in Europa ripetono stupidamente la stessa narrazione.
Il Ministero degli Esteri cinese, tuttavia, ha deciso di prenderli di petto. Così, il 26 marzo, la portavoce Hua Chunying (foto) ha iniziato la consueta conferenza per la stampa mostrando il video di un discorso pronunciato nell’agosto 2018 dal colonnello statunitense (in congedo) Lawrence Wilkerson, ex capo dello staff del Segretario di Stato Colin Powell. Nel suo discorso, Wilkerson, che da allora è diventato uno schietto critico della politica estera statunitense, ha rivelato le macchinazioni dei servizi segreti occidentali nel Sud-Ovest dell’Asia. Ha detto apertamente che una delle ragioni per cui gli Stati Uniti erano in Afghanistan “è perché ci sono 20 milioni di Uiguri [nello Xinjiang]”. Se la CIA, ha continuato, “volesse organizzare un’operazione usando quegli uiguri come Erdogan ha fatto con i curdi in Siria contro Assad”, il modo migliore sarebbe “provocare disordini e unirsi a quegli uiguri per fare pressione sui cinesi [di etnia] han e su Pechino, dall’interno invece che dall’esterno”.
Gli ultimi attacchi occidentali riguardano il boicottaggio del cotone prodotto nello Xinjiang, con il pretesto che nei campi di cotone verrebbe utilizzato il “lavoro forzato”. Numerose delegazioni, compresa una ad alto livello della Shanghai Cooperation Organization, che comprendeva molti diplomatici di Paesi musulmani, si sono recate sul posto per indagare sulle accuse nelle ultime due settimane, e non hanno scoperto alcunché di strano. Infatti, la raccolta del cotone nello Xinjiang è meccanizzata al 90%. Molti uiguri stessi sono imprenditori del cotone.
Ora è previsto un boicottaggio delle fabbriche di celle fotovoltaiche, sempre prodotte nello Xinjiang, con la stessa accusa di “lavoro forzato”. Così, sono stati presi di mira due settori che sono i pilastri dell’economia locale e forniscono il sostentamento di coloro che gli occidentali pretendono di difendere!
Per ragioni diverse, tuttavia. Secondo un articolo del Global Times del 18 aprile, mentre il boicottaggio del cotone è stato lanciato per motivi politici, la campagna contro l’industria fotovoltaica “sembra essere spinta dalle forze all’interno dell’industria fotovoltaica, che sono da anni battute dalle aziende cinesi, come quelle dello Xinjiang, in un apparente tentativo malato di usare la politica per reprimere ciò con cui non possono competere sul mercato”.