Lo statista americano Lyndon LaRouche e i suoi collaboratori nel mondo ripetono continuamente una verità assai sgradevole ma essenziale per capire ciò che accade nel mondo: gli imperi finanziari di Wall Street e della City di Londra cercano, con la copertura di una politica “rispettosa” dell’ambiente e del clima, di riportare la popolazione mondiale al di sotto dei due miliardi di abitanti.

È una nostra fissazione, degna dei complottisti? Nient’affatto, poiché la storia è piena di esempi che mostrano come l’Impero Britannico in modo particolare abbia organizzato dei genocidi, cioè abbia provocato la morte di decine di milioni di persone non per quel che avevano, ma per quel che erano. Nei libri di scuola questa verità non trova ancora lo spazio necessario, ma non tarderà a comparirvi. Nessuno in Europa, per esempio, nega gli accadimenti in Irlanda, tra il 1845 e il 1852, ricordati alla voce della “grande carestia delle patate” e l’emigrazione che questa provocò, riducendo di un quarto la popolazione iniziale.

Ancor peggiore fu la grande carestia che colpì il Bengala, documentata da Ramtanu Maitra sull’Executive Intelligence Review del 3 luglio 2015.

Vittime della carestia provocata da Winston Churchill in Bengala nel 1943. "Odio gli indiani", disse a Leopold Amery, Segretario di Stato per l'India, "sono un popolo bestiale con una religione bestiale [...] Si moltiplicano come conigli".

Vittime della carestia provocata da Winston Churchill in Bengala nel 1943. “Odio gli indiani”, disse a Leopold Amery, Segretario di Stato per l’India, “sono un popolo bestiale con una religione bestiale […] Si moltiplicano come conigli”.
A una richiesta urgente di cibo per l’India, rispose: “Se davvero il cibo è così scarso, per quale ragione Gandhi non è ancora morto?”

I coloni britannici fecero morire di fame oltre sessanta milioni di indiani. Perché?

di Ramtanu Maitra

La mancanza cronica di cibo e acqua, la mancanza di igiene e di assistenza medica, la trascuratezza nei mezzi di comunicazione, la povertà delle misure educative, l’onnipresente spirito di depressione che vidi di persona, prevalente nei nostri villaggi dopo oltre un secolo di dominio britannico, mi fa perdere ogni illusione sulla loro benevolenza.

– Radindranath Tagore

Se la storia del governo britannico dell’India fosse condensata in un singolo fatto, questo sarebbe che in India non vi fu alcun aumento di reddito procapite dal 1757 al 1947.

– Mike Davis, Late Victorian Holocausts: El Nino Famines and the Making of the Third World, London, Verso Books, 2001.

Churchill, spiegando perché difendesse l’accumulo di cibo in Gran Bretagna, mentre milioni di persone morivano di fame in Bengala, disse al suo segretario privato che “gli hindu sono una razza sudicia, protetta grazie alla sua continua riproduzione dal destino che merita”.

– Madhusree Mukerjee, Churchill’s Secret War: The British Empire and the Ravaging of India during World War II, New York: Basic Books.

Durante i centonovant’anni di saccheggio e di sfruttamento per mano britannica, il subcontinente indiano subì una dozzina di grandi carestie, che nel loro insieme uccisero milioni di indiani di ogni regione. Quanti milioni di indiani perirono in questo modo non è facile da stimare con esattezza, tuttavia i dati forniti dai dominatori britannici indicano che potrebbero essere sessanta. Ovviamente, la cifra reale potrebbe essere di gran lunga superiore.

Gli analisti britannici imputano alla siccità il crollo della produzione agricola che portò alle carestie, ma questa è una mera menzogna. I britannici, impegnati nelle guerre in Europa (e altrove) e nell’impresa coloniale in Africa, esportarono grano dall’India per sostenere le proprie operazioni militari, causando così la penuria di cibo in India. Gli abitanti che si trovarono a vivere nelle zone colpite delle carestie vagavano senza meta, ridotti a scheletri ricoperti di pelle, e morivano a milioni. La natura satanica di questi dominatori britannici non verrà mai ribadita a sufficienza.

Una politica sistematica di spopolamento

Benché non esistano censimenti accurati, nell’anno 1750 la popolazione indiana era intorno ai centocinquantacinque (155) milioni. Quando ebbe fine il dominio britannico, nel 1947, la popolazione dell’India non ancora divisa era intorno ai trecentonovanta (390) milioni. In altre parole, durante i centonovanta anni di saccheggio e di carestie organizzate, la popolazione crebbe di duecentoquaranta (240) milioni. Dal 1947 e per sessantotto (68) anni la popolazione del subcontinente indiano (India, Pakistan, Bangladesh) andò crescendo fino a raggiungere quasi il numero di un miliardo e seicento milioni. Nonostante la povertà e i difetti nella sua economia, con l’indipendenza dall’Impero Britannico la popolazione aumentò di un miliardo e duecento milioni di persone in quasi un terzo del tempo.

I dati mostrano che in questo ultimo periodo il subcontinente indiano fu colpito dalla siccità in alcune regioni, ma senza che questa si trasformasse in carestie. Ciò non toglie che la carenza di cibo e di sistemi di distribuzione di generi alimentari ancora uccida migliaia di persone ogni anno. È da notare anche che prima che gli scarponi britannici calcassero il suolo indiano la carestie che pure si ebbero, furono registrate con molta minore frequenza, intorno a una per secolo.

Da ciò si evince che non vi furono ragioni naturali delle carestie durante il controllo coloniale. Esse si ebbero soltanto perché l’Impero le progettò, con l’intento di rafforzarsi con il saccheggio e l’adozione di una politica di spopolamento non dichiarata. La ragione fu quindi la convinzione che questa politica avrebbe ridotto i costi del controllo imperiale sulla regione.

Ritratto della famiglia Clive, con serva indiana, dipinto da Joshua Reynolds nel 1765

Ritratto di parte della famiglia del barone Robert Clive, con serva indiana, dipinto da Joshua Reynolds nel 1765

Consideriamo il caso del Bengala, la parte orientale del subcontinente in cui la Compagnia Britannica delle Indie Orientali (CBIO, definita dalla patente della regina Elisabetta I “Onorevole Compagna delle Indie Orientali”) prese piede nel 1757. I rapaci saccheggiatori, sotto la guida di Robert Clive, un oppiomane e degenerato che nel 1774 si spappolò il cervello nella sua residenza di Berkley Square, a Londra, acquistata con i proventi del suo saccheggio – presero il controllo degli odierni Bengala dell’Ovest, Bangladesh, Bihar e Odisha (in precedenza Orissa) nel 1765. All’epoca secondo i dati storici pervenuti l’economia indiana rappresentava un quarto del PIL mondiale, seconda dopo quelle cinese, mentre la Gran Bretagna contribuiva a un misero 2 percento. Il Bengala era la provincia più ricca dell’India.

Una volta estromesso il viceré a conclusione della battaglia di Plassey (Pôlashir, Palashi), Clive pose sul trono un suo fantoccio, tramite il quale arrivò a un accordo a favore della CBIO, che divenne così l’esattrice unica della regione, e lasciò al fantoccio la responsabilità nominale del governo della regione. L’accordo durò un secolo, mentre sempre più stati indiani andavano in bancarotta per facilitare le future carestie. Il denaro delle tasse entrava nei forzieri britannici, mentre i bengalesi e gli indiani del Bihar morivano a milioni.

Statua di Robert Clive (Foto: Prioryman / Wikimedia)

Statua di Robert Clive
Particolare di una foto di Prioryman (Wikimedia)

Clive, che divenne un membro della Royal Society nel 1768 e la cui statua ancora campeggia a Whitehall, il centro del male imperiale, nei pressi del gabinetto di guerra, ebbe a dire quanto segue, in sua difesa, quando il Parlamento britannico, giocando alla “purezza”, lo accusò di saccheggi e altri abusi in India:

“Considerate la situazione in cui mi pose la Vittoria di Plassey. Un grande Principe era divenuto dipendente dal mio piacere; una città opulenta era alla mia mercé; i suoi più ricchi banchieri si facevano la guerra per un mio sorriso; camminavo attraverso portoni che erano aperti soltanto per me, con le mani cariche di oro e gioielli! Per Dio, Sig. Presidente, in questo momento sono stupito della mia stessa moderazione”.

Clive tuttavia non fu l’unico colono britannico con le mani sporche di sangue. L’Impero Britannico mandò in India un macellaio dopo l’altro, tutti cresciuti con l’idea di saccheggiare e spopolare.

Già nel 1770, all’epoca della prima grande carestia nel Bengala, la provincia era stata saccheggiata completamente. Ciò che seguì fu semplicemente un orrore. Ecco come John Fiske descrisse tale carestia nel libro American Philosopher in the Unseen World:

“Per tutta l’estate del 1770 la gente continuò a morire. I contadini e gli allevatori vendettero il loro bestiame; vendettero i loro attrezzi agricoli; divorarono le loro sementi; vendettero figli e figlie, nella misura in cui non fu più possibile trovare altri compratori di bambini; mangiarono le foglie degli alberi e l’erba dei campi… Le strade si riempirono di gruppi promiscui di morenti e di cadaveri. Le sepolture non poterono essere condotte con la necessaria rapidità; perfino i cani e gli sciacalli, gli spazzini necrofagi dell’oriente, divennero incapaci di compiere il loro rivoltante lavoro, e la moltitudine di cadaveri mutilati e suppuranti alla lunga minacciò l’esistenza stessa dei cittadini…”

C’era una ragione per quella carestia? No, se i britannici avessero voluta evitarla. Il Bengala, allora come oggi, aveva la capacità di offrire tre raccolti all’anno. Si trova sul delta del Gange. Anche in caso di siccità, i tre raccolti sono garantiti. Come era prevalente nei tempi del moghul e in precedenza, inoltre, il grano in sovrappiù veniva immagazzinato per garantire il nutrimento della popolazione in caso di basse rese dei raccolti futuri.

Il saccheggio dei raccolti da parte di Clive e della banda dei suoi complici, drenò il grano dal Bengala tanto da far morire dieci milioni di indiani, cioè da eliminarne un terzo.

Si dovrebbe notare che la cosiddetta rivoluzione industriale attribuita alla Gran Bretagna iniziò nel 1770, lo stesso anno di questo quasi genocidio in Bengala. Il Partito del Tè di Boston che diede il via alla Rivoluzione Americana prese piede nel 1773. Permise all’Impero Britannico di capire che i suoi giorni in America erano ormai contati e di decidersi a concentrare i suoi sforzi sullo sfruttamento dell’India.

Perché le carestie furono così frequenti
durante i giorni del Raj britannico?

La prima ragione della regolarità con cui le carestie si verificarono e furono lasciate imperversare per anni ad ogni occasione, sta nella politica imperiale britannica di spopolamento delle sue colonie. Se queste carestie non si fossero abbattute sull’India, la sua popolazione avrebbe raggiunto il miliardo molto prima del XX secolo, cosa che britannici consideravano o avrebbero considerato un esito disastroso.

Innanzitutto perché una popolazione maggiore avrebbe significato un maggior consumo di prodotti locali da parte degli indigeni, riducendo le possibilità del Raj britannico di saccheggiare con profitto. La soluzione logica sarebbe stata quella di sviluppare infrastrutture agricole per tutta l’India, ma ciò avrebbe non soltanto costretto la Gran Bretagna a spendere più denaro per sostenere il proprio impero coloniale e bestiale, ma avrebbe anche sviluppato un popolo in salute che avrebbe potuto ribellarsi dell’abominio chiamato Raj britannico. Queste carestie di massa ebbero il risultato voluto di indebolire la struttura sociale e la spina dorsale degli indiani, rendendo sempre meno probabili le ribellioni contro le forze coloniali.

Malthus_Popolazione

Per perpetuare le carestie e dunque spopolare gli indiani “pagani” e “scuri” gli imperialisti britannici lanciarono una campagna di propaganda sistematica, usando allo scopo il fabbricante di frodi Thomas Malthus, e diffondendo le sue farneticazioni non scientifiche raccolte nel “Saggio sulla Popolazione”:

“Questa naturale ineguaglianza dei due poteri della popolazione e della produzione sulla Terra”, scrisse Malthus, “e quella grande legge della nostra natura che vuole che siano costantemente uguali i loro effetti, costituisce la grande difficoltà che a me pare insormontabile sulla via verso la perfettibilità della società. Ogni altro argomento è degno di considerazione minore o subordinata rispetto a questo. Non vedo con quale mezzo l’uomo possa sfuggire al peso di questa legge che pervade tutta la natura animata”.

Benché Malthus fosse stato ordinato sacerdote della Chiesa Anglicana, l’Impero Britannico lo rese un “economista” stipendiato dalla CBIO, beneficiaria del monopolio concesso da Elisabetta I sul commercio in Asia e forte di tale privilegio impegnata ogni dove a colonizzare con la propria milizia ben armata ma sotto la bandiera inglese di San Giorgio.

Malthus fu individuato presso il College Imperiale di Haileybury, tipico terreno di reclutamento di alcuni dei peggiori criminali coloniali. Fu in questo college che furono formati i pianificatori della politica imperiale di genocidio per l’India. Tra di essi Sir John Lawrence (viceré dell’India nel periodo 1864-1868) e Sir Richard Temple (luogotenente generale del Bengala e, più tardi, governatore di Bombay).

Mentre Malthus elaborava la sua sinistra “teoria scientifica” per giustificare lo spopolamento quale processo naturale e necessario, l’Impero Britannico raccolse un pugno di altri “economisti” affinché scrivessero a favore della necessità del libero mercato. Il liberismo ebbe così un ruolo preminente nell’adozione della politica genocida in India, grazie agli sforzi del Raj britannico. Il libero mercato, infatti, è l’altra faccia della medaglia del controllo demografico proposto da Malthus.

Quando arrivò la grande carestia del 1876, la Gran Bretagna aveva ormai costruito alcune ferrovie in India. Benché fossero state presentate come mezzo di contrasto delle carestie, esse furono invece usate dai mercanti per trasportare il grano dei magazzini dai distretti colpiti della siccità fino ai depositi centrali per l’accaparramento. L’opposizione dei liberoscambisti, inoltre, contro ogni politica di controllo dei prezzi portò alla speculazione sul grano. Il risultato fu che per raccogliere il grano dai distretti colpiti dalla siccità fu raccolto il necessario capitale e il suo impiego rappresentò un investimento nell’aggravarsi della calamità. Il prezzo del grano aumentò in maniera sorprendentemente rapida e il grano abbandonò le regioni in cui era più richiesto, per essere immagazzinato in attesa di un ulteriore rialzo dei prezzi.

Possedimenti (in rosa) della Compagnia Britannica delle Indie Orientali nell'India del 1765 e del 1805

Possedimenti (in rosa) della Compagnia Britannica delle Indie Orientali nell’India del 1765 e del 1805

Il Raj britannico sapeva o avrebbe dovuto sapere. Anche se i coloni britannici non sostennero apertamente questo processo speculativo, ne furono perfettamente consapevoli e furono perfettamente a loro agio con la promozione del libero mercato ai danni di milioni di vite umane. Ecco come Mike Davis descrisse quanto accaduto:

“Il rialzo dei prezzi fu così straordinario e la fornitura disponibile così scarsa, se confrontata con i ben noti requisiti, che i mercanti e i trafficanti, sperando in enormi guadagni futuri, apparvero determinati a trattenere le loro riserve di grano per un tempo indefinito e a non suddividere una merce che stava diventando rara. Fu evidente al governo che i mezzi per trasportare il grano su rotaia stavano facendo rialzare i prezzi ovunque, e che l’attività di apparente importazione e di transito ferroviario, non indicava alcuna aggiunta alla riserve di cibo del Governo. Nel frattempo, nelle regioni [colpite dalla carestia] il commercio al dettaglio era ormai sospeso. O i prezzi richiesti andavano oltre i mezzi di pagamento delle moltitudini, oppure i negozi rimanevano sempre chiusi”.

Edward Robert Lytton Bulwer-Lytton, Conte di Lytton

Edward Robert Lytton Bulwer-Lytton,
Conte di Lytton

A quel tempo il viceré era Lord Lytton, un poeta favorito dalla Regina Vittoria ma noto come “macellaio” da molti indiani. Egli si oppose di tutto cuore a ogni sforzo di raccogliere il grano per nutrire la popolazione colpita della carestia, poiché ciò avrebbe interferito con le forze del mercato. Nell’autunno del 1876, mentre il raccolto monsonico avvizziva nei campi dell’India meridionale, Lytton fu assorbito dall’organizzazione dell’oceanico Imperial Assemblage a Delhi, per proclamare imperatrice la Regina Vittoria.

Come giustificò questa cosa, Lytton? Poiché era un ammiratore e un seguace di Adam Smith. Mike Davis scrisse che Smith

“un secolo prima ne ‘La ricchezza delle nazioni’ aveva asserito (nei confronti della terribile carestia del Bengala del 1770) che la carestia non aveva avuto altra origine che dalla violenza con cui il governo aveva cercato, con mezzi impropri, di rimediare alla penuria, Lytton stava applicando ciò che Smith gli aveva insegnato e aveva insegnato ad altri fautori del sistema del libero mercato. L’ingiunzione di Smith contro i tentativi di Stato di regolamentare il prezzo del grano durante la carestia del 1770 era stata insegnata e tramandata per anni nel famoso college di Haileybury della Compagnia delle Indie Orientali”.

Lytton impartì ordini precisi affinché “non vi fosse interferenza di alcun tipo da parte del Governo con l’obiettivo di ridurre il prezzo del cibo” e “nelle sue lettere all’Ufficio delle Indie Orientali in Gran Bretagna e ai politici di entrambi i partiti, egli denunciò le ‘isterie umanitarie'”.

Per via di un diktat ufficiale, dunque, l’India al pari dell’Irlanda prima di essa, divenne un laboratorio utilitarista in cui si giocò d’azzardo sulla vita di milioni di persone, perseguendo una fede dogmatica negli onnipotenti mercati capaci di superare l'”inconvenienza della penuria”.

Le grandi carestie (oltre il milione di morti)

Due dozzine di carestie uccisero almeno sessanta milioni di indiani. Qui ci interessiamo a quelle che uccisero, ciascuna, più di un milione di individui. Esse furono:

Carestia del Bengala, 1770
~ 10 milioni di morti

Carestie di Madras, 1782-1783
e di Chalisa, 1783-1784

~ 11 milioni di morti

Carestia di Doji Bara (o “del teschio”) 1791-1792
~ 11 milioni di morti

Carestia del Doab Alto, 1860-1861
~ 2 milioni di morti

Carestia di Orissa, 1866
~ 1 milione di morti

Un bambino morto durante la carestia di Winston Churchill (1943)

Un bambino morto durante
la “carestia di Winston Churchill” (1943)

Carestia di Rajputana, 1869
~ 1,5 milioni di morti

Grande Carestia, 1876-1878
~ 5,5 (o 11) milioni di morti

Carestie indiane, 1896-1897 e 1899-1900
~ 6 milioni di morti
(nelle sole regioni controllate dalla CBIO)

Carestia del Bengala, 1943-1944
~ 3,5 (o 5) milioni di morti

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Campi di soccorso o campi di concentramento?

Un campo di concentramento britannico per donne e bambini durante la seconda guerra contro i boeri

Un campo di concentramento britannico per donne e bambini durante la seconda guerra contro i boeri

Molti suggerimenti arrivarono ad Adolf Hitler da parte britannica, su come eliminare milioni di persone. Quello che certamente accolse nell’istituire i suoi lager fu ricavato dalla gestione dei campi che i britannici impiegarono per “soccorrere” i milioni di affamati. Chiunque entrasse in tali campi, non ne sarebbe uscito vivo.

Lizzie van Zyl, una giovanissima vittima, non sufficientemente celebre, della malnutrizione forzata dei britannici durante la seconda guerra contro i boeri

Lizzie van Zyl, una giovanissima vittima, non sufficientemente celebre,
della malnutrizione forzata dei britannici durante la seconda guerra contro i boeri

Considerate le azioni del vicario del viceré Lytton, Richard Temple, un altro prodotto di Haileybury imbevuto di dottrina genocida in funzione imperiale. Temple prese ordini da Lytton per assicurare che le opere di soccorso non costassero “più del necessario”.

Dopo essere stato attaccato duramente dai liberisti di

Dopo essere stato attaccato duramente dai liberisti presso The Economist, ecc. per aver lasciato pensare agli indiani che “sia compito del governo il mantenerli in vita”, Temple cercò di ricostruirsi una reputazione, per esempio cominciando “a condurre esperimenti per vedere con quale quantità minima di cibo gli indiani potessero sopravvivere, annotando freddamente nel suo diario quando ‘gente sana e robusta’ era ridotta a ‘poco più che scheletri animati… inetti per qualunque lavoro'” [da Johann Hari: The truth? Our empire killed millions]

Stando ad alcuni analisti, i campi organizzati da Temple non erano molto differenti da quelli delle SS. La gente, ormai mezza morta di fame, era costretta a marciare per centinaia di chilometri per raggiungere i campi in cui avrebbero avuto cibo razionato in cambio di lavoro, con quantità di cibo inferiori a quelle concesse ai futuri prigionieri dei nazisti.

“I britannici si rifiutarono di prestare un soccorso adeguato alle vittime della carestia motivando che tale misura avrebbe incoraggiato l’indolenza. Sir Richard Temple, che nel 1877 era stato selezionato per organizzare gli sforzi di soccorso in piena carestia, decise che la razione di cibo per gli indiani affamati dovesse ammontare a sedici once di riso al giorno, meno della dieta per i prigionieri del campo di concentramento di Buchenwald destinato agli ebrei nella Germania di Hitler. La ritrosia dei britannici nel rispondere con urgenza e vigore alla penuria di cibo ebbe come esito una serie di circa due dozzine di sconcertanti carestie, durante l’occupazione britannica dell’India. Queste spazzarono via decine di milioni di persone. La frequenza delle carestie mostrò un sconcertante tendenza a crescere nel XIX secolo.

– B.M. Bhatia, Famines in India, A Study in Some Aspects of the Economic History of India, 1860-1945 – 1963 (Asia Publishing House, Bombay).

Fu voluto allora, ed è voluto ora”.

Per approfondire

Shashi Tharoor, The Ugly Briton, Time.

Johann Hari, The truth? Our empire killed millions, The Independent.

Famines in India in the 19th century: A timeline, Environment and Society Portal.