Dopo le elezioni plasmate dai media, dopo che tutti hanno srotolato il tappeto rosso davanti a Emmanuel Macron e Marine Le Pen, la seconda per mettere in rilievo il primo, è giunta l’ora della verità. Quella che Emmanuel Macron deve affrontare non più una candidata aggressiva e incompetente, dopo l’eliminazione di un altro candidato troppo attento alla propria famiglia e ai suoi interessi, ma la realtà politica nazionale e internazionale.Che egli abbia rinunciato ad attuare una vera riforma di separazione bancaria al seguito di François Hollande non depone a suo favore in quanto a determinazione nell’affrontare il mondo del denaro. Il populismo mediatico della sua campagna, adoperando il linguaggio che il suo elettorato è abituato a usare in Internet, nei quiz e nei giochi televisivi e nei programmi di commento sportivo, è tutto tranne che portatore di un grande progetto. Ciò è tanto vero che i suoi amici vedono in lui “un camaleonte che si adatta all’universo nel quale si evolve”.

Si può concludere che non determinerà la direzione degli eventi, ma che saprà fiutare per discernerli e adattarsi. La sua presidenza nei rapporti internazionali dipenderà, pertanto, da quanto accadrà in Cina e all’interno dei BRICS. Mentre nei rapporti interni dalla pressione a cui sarà sottoposto.

In ciò sta la nostra sfida più immediata. Non nell’analisi accademica della situazione creatasi. Non si tratta di chiedersi che farà Emmanuel Macron in quanto tale, ma del contributo di ciascuno di noi nel farglielo fare. E’ questo lo spirito di “partecipazione” a cui ambiba de Gaulle per la V Repubblica.

Sosteniamo dunque la prospettiva della Nuova Via della Seta, questo sistema di mutuo sviluppo promosso dal Presidente cinese Xi Jinping in opposizione naturale alla globalizzazione finanziaria distruttrice, espressione degli interessi della City di Londra e di Wall Street.

Estendiamo questo progetto fino a farne un Ponte Terrestre Mondiale, fondato sullo sviluppo reciproco. Al Forum di Pechino su “una cintura, una via”, Macron si è fatto rappresentare da Jean-Pierre Raffarin, che è il nostro dirigente politico più esperto di Cina. Raffarin ha preso parte a un forum tra ventinove capi di stato e di governo, e rappresentanti di centotrenta Paesi, cioè un forum rappresentativo di due terzi dell’umanità.

Si è trattato di un primo passo, tanto più che il Presidente Xi Jinping ha telefonato a Emmanuel Macron per parlargli dell’importanza da lui attribuita alle relazioni sino-francesi e il Presidente Macron gli ha fatto consegnare da Raffarin un messaggio personale. Nonostante tutto, rimane da stabilire la dimensione di questa cooperazione.
La fondatrice e presidente dello Schiller Institute, Helga Zepp-LaRouche, ha partecipato ai dibattiti pechinesi e ha pronunciato un discorso che qualifica questa cooperazione di mutuo sviluppo come superiore ai benefici attesi di uno sviluppo industriale e infrastrutturale, aggiungendo che essa deve condurre alla condivisione degli apporti culturali dei patrtecipanti.

L’Africa, in particolare, deve essere il “ponte” di questa cooperazione tra Francia e Cina, per giungere ad una soluzione all’integrazione dei popoli e alla terribile crisi dei migranti.
Allo stesso tempo, per poter disporre dei mezzi necessarii a questa politica esercitiamo pressioni affinché sia adottata una vera separazione bancaria, quella che Emmanuel Macron non attuò e che occorre impostare immediatamente.

È ciò che ci si attende oggi negli Stati Uniti con il nome di “Glass-Steagall del XXI secolo” e che vi costituirebbe un’apertura “oltre i sentieri battuti” nel senso della loro partecipazione al Ponte Terrestre Mondiale. Perfino Le Monde del 14-15 maggio riconosce così che “Washington aspira a ristabilire il Glass-Steagall Act” e si sta avverando “una globalizzazione made in China”.

Utopia? Niente affatto, poiché la Francia ha un ruolo da assumere in questa nuova configurazione del mondo, che è il cammino della pace tramite il mutuo sviluppo. La Francia catalizzatrice del mondo e Solidarité et Progrès catalizzatore della Francia: non è forse la grande sfida che questa campagna presidenziale non ha voluto raccogliere e che oggi è nostra?