Il tema dei rapporti sino-americani è di preminente importanza nella situazione strategica odierna. Sul fronte commerciale, il primo settembre Washington ha imposto una nuova serie di dazi su oltre 360 miliardi di dollari in prodotti cinesi e Pechino lo ha fatto su 110 miliardi di esportazioni americane in Cina. Ciononostante, dopo discussioni costruttive tra i negoziatori, le due parti hanno accettato di tenere a Washington un nuovo round di colloqui all’inizio di ottobre.
Oltre allo stop-and-go di questi colloqui, sono cresciute le tensioni strategiche. La vendita di armi statunitensi a Taiwan, lo scontro sul Mar della Cina Meridionale, le accuse di violazioni dei diritti umani in Cina e le sanzioni contro Huawei per il presunto ciber-spionaggio esacerbano i rapporti tra le due nazioni.
Il punto più delicato, tuttavia, è costituito dal sostegno delle istituzioni di Washington (e di altre capitali) alle proteste violente a Hong Kong, che non si affievoliscono in quanto a intensità. Mentre i media e le forze politiche occidentali mettono a fuoco le rivendicazioni di maggior libertà e democrazia, è indubbio che questo sia il classico caso di “rivoluzione colorata” con lo scopo di provocare un “cambiamento di regime” a Pechino. I metodi usati sono gli stessi del golpe a Kiev, come ha rilevato Helga Zepp-LaRouche il 3 settembre in una discussione.
Benché all’inizio molti partecipanti alle proteste si rivolgessero contro la legge sull’estradizione o rivendicassero migliori condizioni di vita, tali rivendicazioni sono diventate “in un certo senso irrilevanti”, ha dichiarato Zepp-LaRouche, poiché tipicamente, una volta partita la protesta, sono immediatamente orchestrate delle provocazioni per dirottarla. La cosa viene subito messa in risalto sui media internazionali e scatta il classico copione di Gene Sharp (vedi “The British Empire Created the Color Revolutions as Acts of War”, EIR magazine 13 giugno 2014, p. 21). “Ciò è accaduto spesso nelle altre rivoluzioni colorate”.
Nel caso di Hong Kong, il National Endowment for Democracy, che è finanziato dal Congresso, ha apertamente ammesso di aver speso 1,7 milioni di dollari per addestrare i provocatori. Il fatto che molti attivisti violenti abbiano iniziato a sventolare la bandiera britannica o americana e a cantare l’inno nazionale americano denota la presenza di un classico elemento del copione di Sharp. Perciò, non confondiamoci: questo è il tentativo di una rivoluzione colorata, ha incalzato Helga Zepp-LaRouche, il cui scopo è il cambiamento di regime.
Le autorità cinesi sono ben consapevoli di questo copione e hanno indicato in termini inequivocabili che non permetteranno alla violenza di espandersi sul continente. La rete televisiva CGTN ha pubblicato un video di nove minuti intitolato “Chi è dietro le proteste di Hong Kon, nel quale si sostiene che migliaia di agenti britannici e statunitensi operino liberamente a Hong Kong, tanto che la città si è guadagnata il soprannome di “Divisione asiatica della CIA”.
Per coloro che nutrono ancora dei dubbi, il tycoon di Hong Kong Jimmy Lai, che appoggia i rivoltosi e ha stretti legami negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ha fatto capire molto bene in un’intervista per Fox Business News il 6 settembre che obiettivo della protesta è espandersi in tutta la Cina e rovesciare il Presidente Xi.