Un incontro di due ore e mezzo tra Merkel e Draghi il 9 febbraio, di cui niente è trapelato all’opinione pubblica. Non corriamo il rischio di sbagliare se affermiamo che il tema principale trattato dai due “reggenti” dell’Eurozona sia come reggere allo tsunami in arrivo da Washington. La bordata sferrata da Peter Navarro, ministro del Commercio statunitense, contro la BCE, accusata di manipolare il cambio dell’Euro, è solo l’assaggio. Un altro segnale è l’annuncio delle dimissioni di Daniel Tarullo, il responsabile della supervisione alla Federal Reserve, mentre salgono le quotazioni di Thomas Hoenig, un forte sostenitore della separazione bancaria (Glass-Steagall) nella rosa dei candidati a sostituirlo.

Ma soprattutto le parole di Ted Malloch, descritto come probabile ambasciatore americano presso l’UE, hanno propagato il terrore a Bruxelles e Francoforte. Mentre la crisi greca si riacuisce e il FMI è nuovamente intervenuto a criticare l’approccio dell’UE, Malloch ha dichiarato in un’intervista alla greca Skai TV l’8 febbraio che la Grecia avrebbe dovuto lasciare l’Euro quattro anni fa. E ha buttato il carico aggiungendo: “Se l’Eurozona sopravviverà, penso proprio che questo sia all’ordine del giorno. C’è stata l’uscita del Regno Unito, ci saranno elezioni in altri Paesi europei, perciò penso che sia qualcosa che sarà deciso nel corso di un anno, un anno e mezzo”.

Indipendentemente dal fatto se diventerà ambasciatore all’UE o meno, Malloch esprime il punto di vista di molti nella squadra di Trump, e dello stesso Presidente. Che cosa accadrà quando si delineerà lo scenario che abbiamo tratteggiato su questa newsletter, con l’inevitabile fine del QE e il rialzo dei tassi sul debito italiano? Mentre nel 2011 l’Italia era isolata e con le spalle al muro, stavolta avrà una sponda a Washington.

Uno scenario da incubo per gli Eurofanatici, e per questo Draghi avrà scongiurato la Merkel di tenere a freno le pressioni tedesche per porre fine al QE, dopo aver dichiarato che non se ne parla di rientro, anzi; casomai la BCE sta considerando di aumentare gli acquisti mensili di titoli da 60 a 80 miliardi. Di fatto, la BCE sta già allargandosi, perché a gennaio ne ha acquistati per 85 miliardi, portando a 1,6 mila miliardi il totale in pancia all’istituto di Francoforte.

Non c’è da dubitare sull’appoggio concesso dalla Merkel a Draghi. In cambio Berlino avrà preteso assicurazioni che la BCE costringerà Roma a “rigare dritto” sul bilancio e, se necessario, sottomettersi alla Troika.

Invece di capire che il vento è cambiato e dare il fatidico “contrordine compagni”, i vertici delle istituzioni dell’UE si arroccano nella difesa di un bunker indifendibile. Non finisce mai di stupire la mancanza di senso della realtà di questa oligarchia condannata, come i dinosauri, all’estinzione. D’altronde la Merkel, alla fine del vertice di Malta che ha sancito la spaccatura definitiva sul tema dell’immigrazione, ha annunciato l’Europa “a due velocità”, che non è altro che la fuga in avanti dei Paesi votati all’integrazione “a tutti i costi”.

C’è panico soprattutto nella City di Londra, la vera centrale di comando dell’Euro – da non confondere con la nazione britannica che è un’altra cosa. Il 9 febbraio il Financial Times ha lanciato l’allarme: il governo italiano non segue “l’atteggiamento robusto preso da Francia e Germania” contro Trump. Il quotidiano della City riporta della telefonata cordiale tra Gentiloni e Trump ed elenca due principali motivazioni che spingono Roma a smarcarsi da Berlino e Parigi: il dialogo russo-americano promette di stabilizzare il Mediterraneo e le posizioni di Trump sull’Europa offrono una sponda all’Italia in vista dello scontro con Bruxelles sul bilancio.

Ma “un’Italia accomodante potrebbe complicare gli sforzi di altri leader dell’UE – meno la britannica Theresa May – di approntare una forte risposta comune europea alle politiche dell’uomo nuovo alla Casa Bianca”.

Il FT quindi suggerisce che per l’Italia potrebbe finire male, previsione che va interpretata come l’ennesima dichiarazione di guerra della City. “Usare Trump come arma per muovere la Germania verso un modello economico più basato sui consumi non farà che irritare Berlino. E mostrare preferenze per Washington rispetto a Bruxelles non sarebbe saggio per Roma in una fase in cui i leader dell’UE discutono del futuro del blocco dopo la Brexit, compreso il discorso dell’Europa a più velocità. Nel migliore dei casi, l’Italia potrebbe essere emarginata. Nel peggiore, punita”.

Le prossime settimane mostreranno che la storia ha già punito le oligarchie transatlantiche legate al vecchio, screditato paradigma.