Il rifiuto dell’idea occidentale di un “mondo unipolare” è stato al centro del vertice annuale dei capi di Stato e di governo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), tenutosi per videoconferenza il 23-24 giugno. Come si legge nella “Dichiarazione di Pechino” approvata in quell’occasione, essi intendono far sì che tutte le nazioni, comprese quelle meno sviluppate, abbiano più voce in capitolo “nel processo decisionale globale”.
Nell’aprire il vertice, il padrone di casa, Xi Jinping, ha criticato direttamente la politica occidentale, osservando che i BRICS devono garantire “equità e giustizia” negli affari mondiali, rifiutando “la mentalità da Guerra Fredda e lo scontro tra blocchi”, “le sanzioni unilaterali e l’abuso di sanzioni” e l’egemonismo, “formando una grande famiglia appartenente a una comunità con un futuro condiviso per l’umanità”.
L’urgente tema di una nuova valuta di riserva internazionale è stata sollevata pubblicamente dal Presidente russo Putin il 22 giugno al BRICS Business Forum. L’intervento di Putin aggiunge una nuova dimensione al dibattito sulla necessità di sostituire l’attuale sistema basato sul dollaro, che è diventato inaffidabile e soggetto agli arbìtri di Washington. Putin ha dichiarato: “Insieme ai partner BRICS, stiamo sviluppando meccanismi alternativi affidabili per i regolamenti internazionali. Il Financial Messaging System russo è aperto alla connessione con le banche dei Paesi BRICS [cioè al di fuori del sistema SWIFT]. Il sistema di pagamento russo MIR sta espandendo la sua presenza. Stiamo esplorando la possibilità di creare una valuta di riserva internazionale basata su un paniere di valute dei BRICS”.
Le sanzioni unilaterali eccezionalmente dure, imposte alla Russia dagli Stati Uniti e dai loro alleati, hanno già spinto alcuni dei principali partner commerciali della Russia, tra cui India e Cina, a passare al commercio in valuta nazionale.
Dato che i BRICS si concentrano sullo sviluppo economico, le partnership con il gruppo sono sempre più interessanti per molti altri Paesi emergenti. Così, a margine del secondo giorno del vertice, si è svolto un “Dialogo di alto livello sullo sviluppo globale” al quale sono stati invitati i leader di altre tredici nazioni (Algeria, Argentina, Cambogia, Egitto, Etiopia, Fiji, Indonesia, Iran, Kazakistan, Malesia, Senegal, Tailandia e Uzbekistan).
Alcuni di questi leader hanno subìto forti pressioni da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, in particolare, affinché prendessero le distanze sia dalla Cina che dalla Russia, ma si sono rifiutati di cedere. E per una buona ragione, poiché ciò che gli anglo-americani hanno da offrire è semplicemente meno attraente.
Il presidente argentino Alberto Fernandez, ad esempio, ha colto l’occasione per chiedere l’adesione ufficiale del suo Paese ai BRICS, affermando: “Aspiriamo ad essere un membro a pieno titolo di questo gruppo di nazioni, che già rappresenta il 42% della popolazione mondiale e il 24% del PIL globale”. Anche il suo omologo egiziano, Al Sisi, che continua a sviluppare rapporti commerciali ed energetici con la Russia, ha accolto con favore le prospettive di crescita economica offerte ai Paesi in via di sviluppo dai BRICS. Il Presidente indonesiano, attualmente a capo del G20, è convinto che il prossimo vertice del gruppo, al quale ha invitato Vladimir Putin, si concentrerà sullo sviluppo economico e non sulla geopolitica.