Conviene ignorare gli schiamazzi dei democratici e dei media, i quali tentano invano di spiegare che cosa sia veramente contenuto nel rapporto Mueller. Le accuse di oltraggio alla corte rivolte al Ministro della Giustizia Barr, le minacce di costringere funzionari dell’Amministrazione di Trump a deporre in tribunale e rendere pubblici dei documenti, per non parlare della proposta che deponga lo stesso Inquirente Speciale Robert Mueller (nella foto con Buah), sono un diversivo per distogliere l’attenzione dalla vera storia, che emerge sempre più ogni giorno: il Russiagate è un tentativo di golpe, avviato dall’intelligence britannica e condotto da funzionari di enti di intelligence americani sotto il Presidente Obama per ribaltare l’elezione di Donald Trump nel 2016, cosa che il nostro bollettino va ripetendo sin dal primo giorno.

Ecco alcuni sviluppi recenti, che secondo Kevin Brock, ex vicedirettore dell’intelligence dell’FBI, provocheranno “vertigini di 360 gradi” a Washington (leggi “James Comey è nei guai e lo sa”, The Hill, 7 maggio).

* Chiesti in tribunale i documenti che scagionano la Russia. Venerdì 10 maggio i legali di Roger Stone hanno presentato una mozione che mette in dubbio la bufala al cuore del Russiagate, ovvero il fatto che non furono russi gli hacker dei computer del Democratic National Committee (DNC) responsabili di aver “interferito” con le elezioni presidenziali del 2016 a vantaggio di Trump. Stone ha chiesto copie non censurate dei rapporti forensi di CrowdStrike da cui dipende tutta la narrativa del tipo “la Russia ha piratato il DNC e Podesta” (CrowdStrike è il fornitore privato del DNC ed è l’unico ente ad aver esaminato i computer che avrebbero subìto un attacco di hacker). La mozione include una dichiarazione giurata dell’ex consulente tecnico della NSA Bill Binney, che è pronto a deporre sulle sue valutazioni forensi che dimostrano che non vi fu alcun attacco di hacker dall’esterno. Per promuovere la frode della pirateria informatica russa, Mueller non ha mai interrogato Binney, affidandosi unicamente ai rapporti fraudolenti di CrowdStrike, che era stata pagata dall’organizzazione elettorale di Hillary Clinton, e alle assurde incriminazioni di funzionari del GRU russo, contando sul fatto che non si presenteranno mai in un tribunale americano.

* L’FBI sapeva che il dossier di Steele era politicamente motivato. L’accesso, in base alla legge FOIA sulla libertà di informazione, agli appunti della vicesegretaria di Stato Kathleen Kavalec, su un incontro dell’11 ottobre 2016 che ebbe con l’ex agente dell’MI6 Christopher Steele, dieci giorni prima che l’FBI usasse il suo dossier per giustificare l’autorizzazione a spiare l’assistente della campagna di Trump Carter Page. La Kavalec scrisse che Steele stava esercitando pressioni sul Dipartimento di Stato per rendere pubblico il proprio dossier al fine di influire sul risultato delle elezioni presidenziali. Ella passò il suo rapporto all’FBI ed altri. Come riferisce John Solomon su The Hill, ciò avrà “conseguenze epocali” in quanto dimostra che l’FBI era al corrente del fatto che alla base dell’autorizzazione del tribunale del FISA “v’era una motivazione politica e la scadenza per renderlo pubblico era entro il giorno delle elezioni”, eppure il Bureau usò ugualmente il dossier di Steele.

* Operazioni sporche dell’intelligence angloamericana. L’ex analista della CIA Larry Johnson ha studiato a fondo l’affare Russiagate e ne ha parlato ampiamente per il LaRouchePAC: tra le altre cose ha scoperto che l’allora direttore della CIA John Brennan collaborò con l’intelligence britannico, a cominciare dall’estate del 2015, per raccogliere informazioni e intercettazioni su tutti i candidati repubblicani e sul democratico Bernie Sanders, rivale di Hillary. Nel dicembre di quell’anno la campagna della Clinton iniziò ad accusare Trump di essere un burattino della Russia. In un articolo su Consortium News del 7 maggio, Johnson scrive che lo scandalo sulla collusione russa “era una deliberata invenzione di organizzazioni di intelligence e delle forze dell’ordine negli Stati Uniti e nel Regno Unito, e di organizzazioni vicine all’organizzazione elettorale della Clinton”. Johnson definisce questa “un’azione elaborata ad ampio raggio mirante a tendere una trappola [a Trump] e ai membri del suo team per poterli accusare di essere agenti della Russia” (vedi https://consortiumnews.com/2019/05/07/how-us-and-foreign-intelligence-agencies-interfered-in-a-us-election/).

L’articolo di Johnson coincide con molti altri che identificano la collaborazione tra l’intelligence britannica, la CIA e l’FBI nel condividere agenti, come Joseph Mifsud e Stefan Halper, che hanno condotto operazioni per incastrare, tra gli altri, George Papadopoulos (un attivista della campagna di Trump) e Carter Page per giustificare la storia degli “hacker russi”.

Il Presidente Trump ha preso nota di questi sviluppi e mette a fuoco il ruolo britannico, come ha fatto in un tweet dell’8 maggio sulla storia della Kavalec: “La spia britannica Christopher Steele ha cercato in tutti i modi di rendere pubblico il proprio falso dossier prima delle elezioni. Come mai?” Questo, ventiquattrore dopo aver accettato un invito della regina Elisabetta a visitare il Regno Unito dal 3 al 5 giugno.

Ci saranno altre rivelazioni, in quanto il Ministro della Giustizia Barr intende dare una risposta all’interrogativo, affinché sia iniziata l’inchiesta del Russiagate, e sono attesi rapporti dagli ispettori generali del Ministero della Giustizia Horowitz e John Huber, e dai PM dell’Utah che stanno indagando su svariate accuse di condotta illecita da parte dei funzionari del Ministero e dell’FBI nell’inchiesta contro Trump.
I nemici di Trump strilleranno ancora più forte quando saranno fatte queste nuove rivelazioni.