Prima di ricevere le attenzioni di Obama, la Libia era un Paese florido. Nella foto (fonte: topwar.ru) una delle oasi agricole sviluppate nel deserto, grazie alle opere idriche culminanti nel grande progetto Great Man-Made River. A questo progetto si affiancano molto naturalmente quelli di Transaqua e Interafrica, elaborati dal gruppo di Marcello Vichi per l’IRI. Il canale di Interafrica, effluente del Lago Ciad, mirerebbe a compensare le perdite delle falde sotterranee del Great Man-Made River.

Mentre la Casa Bianca e l’ambasciatrice Americana all’ONU Susan Rice continuano a sostenere che l’assassinio dell’ambasciatore Americano Chris Stevens e di altri tre cittadini americani a Bengasi, in Libia, l’11 settembre sia stato un moto spontaneo, gli esperti ed i testimoni oculari raccontano una storia ben diversa. In realtà la precisione dell’attacco e le armi sofisticate usate dagli assalitori indicano che era premeditato e condotto con l’intento di farne un “secondo undici settembre”.

È chiaro che gli Stati Uniti non sono stati capaci di agire sull’intelligence di cui disponevano, e la colpa di questo è di Obama. Questo spiega la veemenza con cui l’amministrazione continua a ripetere che l’attacco e le proteste in tutto il mondo siano solo una reazione al deprecabile film pornografico che attacca i musulmani, pur di non ammettere che la vera causa è il fallimento della politica americana, che semina odio e violenza nel mondo musulmano da vent’anni.

Lyndon LaRouche, che ha immediatamente definito questi attacchi “un nuovo 11 settembre”, ha accusato Barack Obama quanto meno di complicità per non aver fornito le necessarie misure di sicurezza, un capo di accusa che si aggiunge ai tanti nella richiesta di impeachment del Presidente. Ha denunciato anche la criminalità di una politica che finanza ed arma Al Qaeda ed altri gruppi terroristici al fine di destituire “nemici” quali Gheddafi o Assad, benché sia evidente che questi gruppi useranno contro l’Occidente le stesse armi e l’addestramento che viene fornito loro.

L’insabbiamento da parte della Casa Bianca è stato messo in evidenza il 16 settembre dalla CNN, che ha rivelato come i leader delle milizie locali si fossero incontrati con funzionari dell’ambasciata americana tre giorni prima delle violenze mettendoli in guardia dal pericolo che la situazione sfuggisse al controllo. E il Presidente libico stesso, Mohammed al-Megaryef, è stato molto chiaro parlando alla CBS su Face the Nation il 16 settembre, e dichiarando: “Il modo in cui hanno agito questi criminali, e la scelta del giorno per la loro presunta manifestazione, non lascia alcun dubbio sul fatto che si trattava di un attacco premeditato… pianificato da stranieri, da persone che erano entrate nel paese alcuni mesi fa. E che pianificavano questo atto criminale da quando sono arrivati”.

Una guardia di sicurezza libica ferita durante l’attacco ha dichiarato al Daily Telegraph che l’attacco è avvenuto prima delle manifestazioni. E’ iniziato con uno sparo di avvertimento, seguito da bombe a mano e da fucili automatici e granate. Ha aggiunto che l’accento degli assalitori era di Bengasi, che indossavano maschere e che avevano i pantaloni arrotolati come i salafiti. Questo è stato confermato da molti altri.

Infine il 19 settembre Matt Olsen, direttore del National Counterterrorism Center, è stato il primo funzionario dell’amministrazione ad ammettere che l’attacco al consolato è stato un “attacco terroristico”. Il giorno dopo, ovvero 9 giorni dopo l’assassinio dell’ambasciatore, il portavoce della Casa Bianca Jay Carney lo ha finalmente ammesso.

Questo dopo che la senatrice Susan Collins, capogruppo repubblicana alla Commissione sulla Homeland Security e gli Affari Governativi, sostenuta da altri senatori ha dichiarato di essere giunta “alla conclusione opposta [alla tesi fino ad allora sostenuta dal governo] e concordo col presidente della Libia che si sia trattato di un attacco premeditato associato all’anniversario dell’11 settembre. Non credo che la gente sia venuta a protestare armata di lanciagranate ed altre armi pesanti, e le testimonianze sulla complicità con le guardie libiche assegnate a fare la guardia al consolato indicano che l’assalto era premeditato”.

Poi, durante un briefing confidenziale a porte chiuse a cui hanno partecipato membri della Camera e del Senato, la testimonianza dei funzionari dell’amministrazione è stata così vuota che il Sen. Corker ha riassunto la valutazione, dicendo che si era trattato del “briefing più inutile a cui ho partecipato da molto tempo. Credetemi, ci sono notizie molto più interessanti sui media importanti ed anche meno importanti in America”.

Stanno emergendo molti altri elementi sulla violazione della sicurezza a Bengasi. Ad esempio, dopo molte smentite, la portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland ha finalmente ammesso che il Dipartimento di Stato aveva subappaltato ad una impresa privata britannica la sicurezza del Consolato a Bengasi. Stando al suo stesso sito, l’impresa, la Blue Mountain Group, ha acquisito esperienza lavorando per anni con la SAS ed altre forze speciali britanniche.