La Commissione europea, e in particolare la presidente Ursula von der Leyen, è ossessionata dall’idea di accelerare l’attuazione del “Green Deal”, nell’ambito dei 750 miliardi di euro del “Recovery Fund”. Tuttavia, un grosso ostacolo è stato appena creato dalla Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe. La sentenza del 26 marzo blocca la legge nazionale che autorizza la partecipazione della Germania al Fondo, adottata la settimana scorsa dal Parlamento, in attesa che la Corte esamini un ricorso d’urgenza presentato dai querelanti del gruppo Bündnis Bürgerwille. Fino ad allora il presidente Frank Walter Steinmeier non potrà ratificare la legge.
La legge prevede che la Commissione europea raccolga capitali sui mercati e crei un debito comune per tutta l’UE al fine di finanziare il Recovery Fund, ma solo dopo la piena ratifica da parte di tutti i 27 stati membri. Bruxelles aveva in programma di assicurare il via libera finale di tutti i 27 entro la fine di aprile, ma questo calendario è ora messo in discussione. La sola idea di un ritardo ha creato serie preoccupazioni nel settore bancario privato, in difficoltà in Europa (e oltre) e che attende con ansia l’emissione dei bond. Inoltre, la prospettiva che la Germania, il più grande singolo contribuente, possa non salire a bordo del Fondo, potrebbe anche dissuadere altri governi dell’UE (molti dei quali sono critici, come Austria, Finlandia, Polonia e Ungheria) dall’impegnarsi completamente nel progetto. Finora, solo sedici Stati hanno ratificato la legge.
Sulla base delle precedenti sentenze su questioni europee, ci si aspetta che la Corte costituzionale tedesca alla fine permetterà a Steinmeier di ratificare la legge, ma aggiungendo l’avvertenza che il governo sarà autorizzato a ritirarsi in seguito, nel caso di una sentenza negativa. Potrebbero trascorrere anche uno o due anni prima che la corte prenda una decisione definitiva, come dimostra l’iter di altri ricorsi contro l’UE, quindi fino ad allora, i piani della Commissione per un “Green Deal” dovranno convivere con una grossa spada di Damocle. La colpa della battuta d’arresto sarà probabilmente attribuita a Ursula von der Leyen, che è già sul banco degli imputati a causa dell’incompetenza palesemente dimostrata su altre questioni controverse, in particolare il fallimento della campagna vaccinale contro il COVID.
Bündnis Bürgerwille, il querelante in questa causa, è un gruppo euro-critico fondato nel 2012 e guidato da alcuni pesi massimi della politica: il Prof. Georg Milbradt, ex governatore dello Stato di Sassonia; l’on. Burckhard Hirsch, ex vice presidente del Bundestag ed eminenza grigia del Partito Liberale, l’on. Uwe Jens, ex membro del Bundestag (SPD); il dott. Thilo Bode, ex top manager di Greenpeace e attuale manager di Foodwatch; il dott. Karl Heinz Däke, ex presidente dell’Associazione dei contribuenti, vice presidente dell’Associazione mondiale dei contribuenti; il dott. Hans-Olaf Henkel, ex top manager di IBM Europa e ex presidente della Confindustria; Frank Schäffler, membro liberale del Bundestag; il dott. Josef Schlarmann, presidente del gruppo PMI all’interno della CDU/CSU; il Prof. Dieter Spethmann, ex AD di Thyssen AG; Klaus-Peter Willsch, membro CDU del Bundestag.