Quanto sopra è l’unica conclusione che si può trarre dall’esame delle recenti azioni di panico dei banchieri centrali, in particolare della Federal Reserve degli Stati Uniti. In un raro annuncio, domenica 15 marzo, la Fed ha detto che acquisterà 500 miliardi di dollari in titoli del Tesoro e 200 miliardi di dollari in titoli garantiti da ipoteca, a seguito del fallimento dell’asta dei titoli del Tesoro trentennali la scorsa settimana.
Allo stesso tempo, la Fed ha annunciato un taglio di un punto dei tassi, da 1-1,50% a 0-0,25% dopo averli già tagliati di mezzo punto la scorsa settimana, e ne ha annunciato un altro per la prossima settimana e ha avviato il coordinamento delle linee di swap con altre banche centrali per evitare perturbazioni nei mercati esteri del dollaro.
Solo la settimana scorsa, la Fed si era impegnata a fornire 1.500 miliardi di dollari in prestiti a breve termine alle banche in cambio di Treasuries, da rimborsare dopo uno o tre mesi. Allo stesso tempo, ha fornito fino a 200 miliardi di dollari sia a un giorno sia a due settimane sul mercato repo (che è ancora a corto di liquidità), più 37 miliardi di dollari in fondi di Quantitative Easing, oltre ai 60 miliardi di dollari mensili già erogati, e ipotizza di acquistare anche obbligazioni societarie e altri titoli come garanzia per i prestiti.
Ciò che si perde in questi numeri stupefacenti è che la liquidità, che potrebbe essere disperatamente necessaria per evitare un crac da depressione su larga scala, non farà altro che aumentare l’ammontare del debito senza generare i mezzi per aumentare la produzione di ricchezza reale per coprire il nuovo debito. Si tratta di un ritorno all’approccio del 2008, che consisteva nel salvare gli istituti finanziari che avevano causato il crollo, negando al contempo il credito necessario ai produttori che fanno parte dell’economia reale e fisica.
Di conseguenza, il debito totale delle imprese è passato da 48.000 miliardi di dollari nel 2009 a oltre 75.000 miliardi di dollari nel 2019. Gran parte di questo debito è sotto forma di obbligazioni societarie, comprese quelle con rating BBB, una tacca sopra il livello della spazzatura, che ora rappresentano la metà del mercato (mentre erano un terzo nel 2011). I fondi di private equity, gli hedge fund e altri istituti bancari ombra si stanno caricando di questi titoli più rischiosi alla ricerca di rendimenti più elevati rispetto ai titoli di Stato, che hanno tassi di interesse bassi. Gli enormi volumi di prestiti overnight sui mercati repo sono necessari ai molti che non realizzano profitti sufficienti a coprire i costi di servizio del debito.
Ora, con la “recessione” probabile in settori come energia, auto e viaggi e turismo, causata in una certa misura dagli effetti del Coronavirus, molte grandi imprese andranno in default, minacciando un collasso in stile domino dell’intero sistema. Lotfi Karoui, il principale stratega del credito della Goldman Sachs, ha scritto in un rapporto ai clienti che “i rischi di default e di retrocessione del rating hanno raggiunto i massimi livelli dall’inizio dell’attuale ciclo economico”. Il FMI ha riferito che, in un recente stress test è emerso che il 40% di tutto il debito societario è a rischio di default in caso di “recessone”, che è ora, di fatto, in corso.
Il modello neoliberista della globalizzazione, con la sua economia just-in-time e altre misure di austerità, unito alla deregolamentazione bancaria e ai salvataggi delle banche, l’outsourcing e la deindustrializzazione, ha fallito miseramente. Il tentativo di salvare il sistema con salvataggi sempre più grandi equivale a cercare di rianimare un cadavere con massicce trasfusioni di sangue. Sarebbe meglio seppellire il cadavere e procedere con le riforme proposte da Lyndon LaRouche, prima tra tutte il ripristino della legge Glass-Steagall, che tolga ogni garanzia dello stato agli speculatori.