La decisione annunciata il 19 dicembre 2018 dal Presidente americano Trump (nella foto con Putin) di ritirare le truppe statunitensi dalla Siria e, parzialmente, dall’Afghanistan ha provocato l’isteria dei suoi oppositori. Attaccando questa decisione, anche se non sono disposti a riconoscerlo, essi stanno di fatto sostenendo la prosecuzione delle guerre imperiali nell’Asia Sudoccidentale, guerre che durano ormai da diciotto anni. Ciò vale soprattutto per gli ex “pacifisti” tra i democratici americani, che soffrono della “sindrome da disordine anti-Trump”, ovvero rifiutano tutto per partito preso, anche se sostennero il contrario quando fu George W. Bush, allora Presidente, a iniziare quelle guerre.

L’annuncio di Trump sarà parso improvviso ma, come ha detto lui stesso, non dovrebbe essere una sorpresa per alcuno, dato che egli chiedeva di porre fine al coinvolgimento americano in Siria molto prima di entrare alla Casa Bianca. Una serie di “cinguettii” su twitter.com nel giugno 2013 iniziava con una chiara dichiarazione: “dovremmo starcene alla larga dalla Siria, i ‘ribelli’ sono pessimi tanto quanto l’attuale regime. Che cosa otterremo per aver speso le nostre vite e miliardi di dollari? Zero”. Durante la campagna elettorale del 2016, Trump ripetè spesso che, se fosse stata eletta la sua antagonista Hillary Clinton, quest’ultima avrebbe portato alla terza guerra mondiale con la Russia per la sua insistenza nell’imporre una “no fly zone” in Siria.

I suoi critici ora strillano che il ritiro “danneggerà i nostri alleati” (il senatore Marco Rubio) e li lascerà “confusi” e “sconcertati” (Brett McGurk, nominato da Obama inviato per la Coalizione Globale contro l’ISIS, che ha dato le dimissioni tre giorni dopo l’annuncio). Altri sostengono che indebolirà il sistema di alleanze e rafforzerà i nemici degli Stati Uniti d’America. La nuova presidente della Camera Nancy Pelosi l’ha descritto come “un regalo di Natale a Putin”.

V’è stata anche la reazione di panico del Ministro della Difesa american Mattis, il quale, dopo essersi dimesso, viene descritto come “l’ultimo adulto nella stanza”, con riferimento alle precedenti dimissioni o licenziamenti di due ex ufficiali, il consigliere per la Sicurezza Nazionale McMaster e il Capo dello Staff Kelly.
Quest’ultimo punto porta al cuore del motivo dell’isteria. Il sen. Lindsey Graham è preoccupato che “questa decisione non si basi sui consigli del suo team di sicurezza, ma venga dal Presidente stesso”. Ciò è confermato da un commento della portavoce per la stampa di Trump, Sarah Sanders, che ha detto che il Presidente ascolta i membri del suo team di sicurezza nazionale, accetta i loro consigli, ma “alla fine le decisioni le prende in prima persona”. Il partito trasversale dell’impeachment, che ha imbastito la bufala del Russiagate, temeva sin dall’inizio che, se non fosse riuscito a destituire Trump, quest’ultimo avrebbe finito col fare ciò che aveva promesso, e cioè avrebbe posto fine alle guerre permanenti e avrebbe adottato una politica di cooperazione strategica con Russia e Cina.

D’altro canto, vi sono indicazioni che molti ufficiali attivi o in congedo sostengano l’iniziativa di Trump. Le forze armate americane sono sfinite dopo queste guerre, che nulla hanno a che vedere col difendere i veri interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ma sono tutte dettate dalla geopolitica. Trump ha vinto le elezioni in larga parte perché aveva capito che la popolazione americana era stufa delle guerre e sostenne che gli Stati Uniti e l’altra superpotenza nucleare, la Russia, avrebbero fatto meglio a collaborare invece di essere avversari.