Al vertice del G7 di Elmar è stato annunciato il lancio della Partnership on Global Infrastructure and Investment, un piano per competere con la Via della Seta nei paesi in via di sviluppo finanziato con 600 miliardi di dollari. Giudicando dall’esperienza passata, quei soldi non si materializzeranno mai. I paesi emergenti stanno ancora aspettando i 100 miliardi all’anno per compensare la rinuncia agli idrocarburi, promessi tredici anni fa a Copenhagen…
Ma anche se quei fondi ci fossero, non ci sarebbe competizione con la Cina. Mentre Pechino costruisce strade, ferrovie, impianti energetici, idrici ed altre infrastrutture “dure”, scelte dai paesi partner senza condizioni politiche allegate, lo schema del G7 finanzierebbe solo investimenti in energia rinnovabile, sanità (che nel gergo occidentale significa più preservativi) e digitalizzazione (come si sa, ricaricare lo smartphone nella giungla è facile). Così, le nazioni in via di sviluppo possono scegliere tra prestiti cinesi per costruire ciò che reputano sia buono per sé stessi, e prestiti occidentali per finanziare ciò che l’Occidente reputa sia buono per loro.
L’intera faccenda sembra uno specchietto per le allodole. L’UE ha promesso di versare 300 dei 600 miliardi complessivi. Ovviamente, nel bilancio UE i fondi non ci sono e aumentare il bilancio è una procedura lunga e complicata. L’unica opzione è quella di raccogliere prestiti sul mercato, con nuova emissione di Eurobonds. Ma anche questa è una faccenda lunga e complicata, con alcuni paesi membri già in allerta per la ventilata proposta di un’emissione volta ad alleviare l’aumento dei prezzi dell’energia.
Un altro annuncio strombazzato al G7 è la decisione di esplorare la possibilità di un “price cap”, un tetto al prezzo dell’energia. L’idea è stata fortemente proposta da Mario Draghi, dopo che il Consiglio UE l’aveva rimandata ad ottobre. Il price cap è controverso, perché una volta introdotto, i produttori potrebbero benissimo rifiutarsi di vendere. Lo stesso Draghi ha spiegato in una conferenza stampa che la mossa è geopolitica, più che economica. “Mettere un tetto al prezzo dei combustibili fossili importati dalla Russia è un obiettivo geopolitico, oltre che economico e sociale. Dobbiamo ridurre i nostri finanziamenti alla Russia e dobbiamo eliminare una delle principali cause dell’inflazione”, ha detto l’inventore del QE.