Il 13 ottobre potrebbe rivelarsi una giornata storica per l’Asia sud-occidentale. Il piano di cessate il fuoco per Gaza è stato firmato, Hamas ha rilasciato tutti i 20 ostaggi israeliani ancora in vita e Israele ha rilasciato 2.000 prigionieri palestinesi, alcuni dei quali non si vedevano da decenni. Gli aiuti umanitari, le medicine, il cibo e il combustibile per cucinare, di cui c’era grande bisogno, hanno cominciato ad affluire a Gaza. Le Nazioni Unite si stanno finalmente preparando a prendere in carico la consegna delle centinaia di migliaia di rifornimenti bloccati fino ad ora da Israele, mentre la disonorata Fondazione umanitaria di Gaza, che ha permesso l’uccisione di centinaia di palestinesi in cerca di cibo, è stata temporaneamente chiusa.
Si tratta di uno sviluppo davvero positivo, anche se ora viene la parte più difficile. Giustizia non è stata ancora fatta e la discussione su uno Stato palestinese stenta a partire, anche se Trump ha stretto la mano ad Abu Mazen. Israele continua a rifiutarsi di rilasciare diversi leader palestinesi di alto profilo, tra cui Marwan Barghouti, che potrebbero rappresentare una leadership competente e affidabile per quel Popolo in questo momento.
A coloro che temono, a ragione, che i fanatici del governo del primo ministro Netanyahu non permetteranno ai palestinesi di tornare e ricostruire la loro patria, l’editoriale di Haaretz del 10 ottobre ha lanciato un severo monito: “Se Israele riprenderà i combattimenti una volta che tutti gli ostaggi saranno stati restituiti, sarà un vero e proprio suicidio diplomatico. Non sarà possibile difendere il Paese. Nemmeno Trump sarà in grado di farlo”.
Gershon Baskin, personalità israeliana che da molti anni è coinvolta nei colloqui con i palestinesi e che ha lavorato all’accordo attuale con Steve Wikoff e Hamas, si aspetta maggiori garanzie sul ritiro militare israeliano. In un articolo del 9 ottobre, ha osservato che “questo accordo avrebbe potuto essere concluso molto tempo fa”, poiché Hamas aveva accettato gli stessi termini nel settembre 2024, ma Netanyahu lo aveva respinto e l’amministrazione Biden non lo aveva preso sul serio. Voci come la sua e quella dell’ex presidente della Knesset Avrum Burg dovrebbero essere ascoltate.
In effetti, è necessario un cambiamento radicale per trasformare questo momento breve, ma inestimabile, in qualcosa di veramente duraturo, non solo per i palestinesi, ma anche per Israele e per l’intera regione. Ora si può mettere sul tavolo il Piano Oasi di LaRouche, che delinea un progetto di ricostruzione e rilancio produttivo per la Palestina e Israele e che fornirebbe una prospettiva positiva per lo sviluppo economico dell’intera regione. Per studiare i dettagli di questo piano, si prega di consultare https://schillerinstitute.com/the-oasis-plan-the-larouche-solution-for-southwest-asia/.