Nonostante le chiare iniziative distensive emerse dal vertice Biden-Putin del 7 dicembre, la situazione strategica rimane tesa perché i falchi della regione transatlantica si adoperano per sabotarle. I centri della geopolitica occidentale, tra cui spicca il Foreign Office britannico e i suoi addentellati americani, sono allarmati dalla decisione di riavviare il dialogo NATO-Russia, annunciata da Joe Biden nella forma di un vertice con Mosca e “almeno quattro Paesi membri della NATO”.
La data di quel vertice tarda ad essere fissata, mentre l’altra iniziativa decisa al vertice del 7 dicembre, ovvero la continuazione dei negoziati ad alto livello, sta avvenendo con la visita a Kiev, Mosca e Bruxelles di Karen Donfried, il numero due al Dipartimento di Stato, iniziata il 13 dicembre. Secondo alcune fonti, la Donfried avrebbe esercitato pressioni sul governo ucraino affinché applichi gli impegni presi negli accordi di Minsk. Un’altra iniziativa per la distensione, nella forma di un vertice franco-russo-ucraino, è stata annunciata dal Presidente francese Emmanuel Macron il 9 dicembre.
Tuttavia, un grande handicap per la politica di Biden è il Congresso, come ha spiegato l’ex ambasciatore statunitense Chas Freeman in una lunga intervista concessa alla rivista EIR il 29 novembre. Sia il Congresso che parte della stessa amministrazione Biden, ha detto, sono fortemente influenzati da “gente che ha fatto carriera manipolando l’opinione pubblica americana invece che con la diplomazia o la politica estera in generale”.
Il problema rappresentato dal Congresso è illustrato dalle dichiarazioni incendiarie fatte, lo stesso giorno del vertice Biden-Putin, dal senatore Roger Wicker su Fox TV: “Non escluderei l’intervento militare” sull’Ucraina, ha detto. Tra le opzioni militari, sarebbero da contemplare “lo stazionamento delle nostre navi nel Mar Nero e la distruzione delle capacità militari russe. Non escluderei truppe americane sul terreno”, ha continuato, aggiungendo che gli USA non dovrebbero nemmeno “escludere il primo uso di armi nucleari”. Wicker non è un peone, è il secondo senatore repubblicano di più alto rango nella Commissione Difesa del Senato e le sue vedute sono popolari tra i politici americani.
Giustamente, l’ex deputata democratica Tulsi Gabbard (foto), ex-colonnello dell’US Army, gli ha risposto il giorno dopo sulla stessa emittente, dicendo che “Chiunque proponga [una tal cosa], o consideri ciò che ha detto [Wicker] un’opzione, dev’essere pazzo, psicopatico o sadico. Sì, andiamo, lanciamo un attacco nucleare che scatenerebbe una guerra che distruggerebbe il popolo americano, il nostro Paese e il mondo e, oh, anche gli ucraini, così salviamo la democrazia ucraina? Voglio dire, è letteralmente folle”. Sfortunatamente la stessa retorica guerrafondaia a la Wicker si sente da altri congressisti, sia repubblicani che democratici, nel governo e nei media.
Non si può non essere d’accordo con la Gabbard, che ha conosciuto la guerra, essendo stata al fronte in Iraq due volte tra il 2003 e il 2009. Non c’è solo l’Ucraina; cresce anche il rischio di un conflitto con l’Iran e ancor di più quello gonfiato artificiosamente con la Cina sulla questione di Taiwan e del Mar Cinese Meridionale. Gli Stati Uniti e la Nato non potrebbero mai vincere una di queste guerre, ma esse servirebbero a prolungare indefinitamente lo stato di “guerra permanente”.
Come la fondatrice dello Schiller Institute Helga Zepp-LaRouche ha detto ai suoi collaboratori questa settimana, “Non importa quello che si dice a livello diplomatico: finché non ci sarà una svolta netta, non si può essere troppo fiduciosi” della distensione.