Dopo gli attacchi lanciati dalle forze armate ucraine contro il sistema radar di preallarme nucleare della Russia, ci si sarebbe aspettato che i leader occidentali riconoscessero il pericolo di provocare una vera e propria guerra nucleare e optassero per la moderazione. Invece no, i leader della NATO hanno scelto di inasprire il conflitto, liquidando i ripetuti avvertimenti di Vladimir Putin come semplici “bluff”.
Così, al termine della riunione dei ministri degli Esteri della NATO il 31 maggio a Praga, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha confermato ai giornalisti che Biden, dopo essersi rifiutato di farlo per molti mesi, aveva segretamente dato a Kiev il permesso di colpire obiettivi all’interno della Russia con armi fornite dagli Stati Uniti. Ufficialmente, tali attacchi dovrebbero essere limitati all’area vicino al confine con Kharkiv, ma nessuno crede che lo saranno. Poche ore dopo questo annuncio, il cancelliere tedesco Scholz si è affrettato a smentire la posizione che aveva difeso anche il giorno prima, dando a Kiev il via libera all’uso di armi consegnate dalla Germania per lo stesso scopo.
In realtà, il presidente francese Macron, il cui bellicismo è diventato del tutto sgangherato, durante una conferenza stampa con Scholz il 29 maggio aveva già dichiarato che l’Ucraina dovrebbe essere autorizzata a usare le armi occidentali per colpire le basi militari russe da cui partono gli attacchi sul suo territorio (ma non altro), cosa a cui Scholz ha fatto eco. Altri Paesi europei, tra cui Finlandia, Norvegia e Paesi Bassi si sono rapidamente schierati dietro di loro.
Senza dimenticare che l’intera parata è stata guidata dal Ministro degli Esteri britannico David Cameron, che durante la sua visita a Kiev il 3 maggio aveva dichiarato che spetta all’Ucraina decidere come utilizzare le armi fornite dal Regno Unito, anche per colpire obiettivi sul territorio russo. Londra ha iniziato a consegnare all’Ucraina i missili da crociera a lungo raggio Storm Shadow già un anno fa.
I leader russi hanno chiarito che tutto questo equivale a rendere i Paesi della NATO parti in causa nella guerra. Il 28 maggio, Putin ha fatto capire che la barriera tra l’Ucraina e i suoi controllori occidentali sta diventando inesistente, perché i missili occidentali di precisione a lungo raggio utilizzati dall’Ucraina, compresa la maggior parte dei droni, richiedono infrastrutture satellitari e tecnici occidentali per il loro funzionamento.
Il viceministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov è stato ancora più diretto nei propri commenti, il 3 giugno: “Vorrei mettere in guardia gli attori americani da errori di calcolo che possono portare a conseguenze fatali. Per qualche motivo poco chiaro, essi sottovalutano la gravità della risposta che potrebbero subire”. I responsabili politici americani, ha suggerito, devono “dedicare un po’ del loro tempo che, probabilmente, a giudicare dal loro approccio leggero a questioni serie, sprecano in videogiochi”, a considerare ciò che Vladimir Putin ha effettivamente detto.
Allora, perché la NATO sta gettando al vento ogni cautela? In poche parole, perché l’Ucraina ha perso la guerra, la Russia non si è tirata indietro e l’Occidente non può permettersi un’altra sconfitta della NATO, che screditerebbe in modo irreversibile l’alleanza occidentale e ne vanificherebbe le speranze di diventare globale.
In questa situazione di estrema tensione, l’International Peace Coalition, co-fondata dallo Schiller Institute un anno fa e che da allora tiene incontri settimanali online, sta diventando un forum cruciale per il dialogo tra tutte quelle forze che, a livello internazionale, si oppongono ai tentativi di una piccola oligarchia occidentale di mantenere a tutti i costi l’egemonia di un impero obsoleto e morente.
Oltre a riunire esperti e cittadini preoccupati per discutere di varie crisi nel mondo, tra cui la guerra della NATO in Ucraina, il genocidio a Gaza, la distruzione dell’Afghanistan, la presa di potere della mafia della droga in America Latina, oltre a molte altre, nonché per cercare soluzioni praticabili per porvi fine, i relatori e i partecipanti sono impegnati in discussioni sui principi universali su cui fondare una nuova architettura di sicurezza e sviluppo.