Mentre la pandemia di Covid-19 continua a diffondersi globalmente e lo stress sull’economia aumenta l’incertezza e la sfiducia nelle élite dominanti, i media internazionali si sono concentrati sui disordini negli Stati Uniti, che minacciano di intensificarsi.

Anche se nessuno può negare che il razzismo sia un problema vero e grande, e che in molte città statunitensi le forze di polizia, eccessivamente militarizzate, siano sfuggite al controllo, la protesta affonda le radici in un malessere molto più profondo dell’indignazione per l’uccisione di George Floyd. Vero è però che la rabbia popolare è manipolata tramite il tipico schema della “gang-countergang”, che fa uso di tattiche e provocatori di ogni risma.

Vista dall’alto, l’intenzione dei manipolatori è chiaramente quella di rovesciare Trump. Dopo il fallimento del “Russiagate” e dopo il suo rifiuto di minacciare militarmente la Cina, si è passati a uno scenario nello stile del golpe ucraino per scalzarlo dal potere o, almeno, per impedirne la rielezione. Il nuovo elemento qui è la mobilitazione di personale militare in congedo per ventilare la minaccia (inesistente) dell’uso della forza armata per reprimere la protesta sociale (vedi sotto).

Ma il vero motivo è ben diverso, come Trump ha chiarito nel discorso tenuto il 13 giugno alla cerimonia di laurea dell’Accademia militare d West Point:

“Stiamo portando a conclusione l’epoca delle guerre permanenti. In loro vece è posta la concentrazione su una rinnovata e ben concepita difesa degli interessi vitali dell’America. Non è compito delle truppe statunitensi risolvere vecchi conflitti in remote isole delle quali molte persone non hanno nemmeno udito il nome. Non siamo i poliziotti del mondo”.

Ricordiamo che il gen. James Mattis, uno dei primi ad attaccare il Presidente, fu licenziato come Segretario alla Difesa perché si rifiutava di eseguire gli ordini di ritirare i soldati, i marinai e i marine dalla Siria e dall’Afghanistan, in modo da porre fine alle “guerre senza fine”. Ricordiamo anche che Trump lo aveva promesso in campagna elettorale, uno dei motivi principali per cui gli americani lo votarono, con grande scorno dell’establishment.

Questo non è il momento delle guerre, né delle sanzioni, né degli scontri geopolitici. Mentre in Europa le condizioni del lockdown sono allentate, il SARS-CoV-2 minaccia ancora un olocausto in Africa e America Meridionale. Il capo del Programma Alimentare delle Nazioni Unite continua a lanciare l’allarme: in assenza di massicci aiuti d’emergenza, vi potrebbero essere 300 mila vittime, delle malattie e della fame, al giorno.

Questo è il momento della cooperazione globale. La disintegrazione economica dei mesi scorsi, forse il tasso di collasso più grave della storia moderna, non è stato causato dal coronavirus, ma dalla frenesia speculativa degli ultimi decenni e dal saccheggio finanziario delle nazioni all’insegna della “globalizzazione”. Niente meno che un nuovo e giusto ordine economico mondiale può iniziare a ribaltare il declino e creare un nuovo paradigma.

Come conseguire questo obiettivo sarà il soggetto di una videoconferenza dello Schiller Institute il 27 giugno, che i nostri lettori sono invitati a seguire. Più informazioni alla pagina https://schillerinstitute.nationbuilder.com/20200627_conference_rsvp.