Ursula von der Leyen ed Emmanuel Macron sono stati in Cina dal 5 al 7 aprile. Formano una strana coppia in verità, uno col ramoscello d’ulivo e l’altra col mitra. Ma la differenza potrebbe essere solo apparente, date le note affinità ideologiche tra i due (fu Macron ad imporre Ulla come presidente della Commissione UE, trombando Manfred Weber che aveva vinto le elezioni europee).
Comunque, mentre la Francia ha lanciato un chiaro segnale la scorsa settimana, facendo firmare alla Total un accordo per il gas in yuan (vedi sopra), Ursula ha pronunciato il discorso più incendiario contro la Cina, ad una conferenza organizzata il 30 marzo dall’Istituto Mercator e dall’European Policy Center. L’UE, ha detto, intende riesaminare e “de-risk” (togliere il rischio) nei rapporti con la Cina, includendo la posizione di Pechino sul conflitto Russo-ucraino nelle valutazioni e nelle relazioni future. “Come la Cina continuerà ad interagire con la guerra di Putin sarà un fattore determinante per il progresso delle relazioni UE-Cina”, ha dichiarato, annunciando un approccio “più coraggioso” dell’UE nei confronti della seconda economia mondiale ed accusando la Cina di essere diventata “più repressiva a casa e più risoluta all’estero” (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/SPEECH_23_2063). Ha anche ventilato l’ipotesi di sospendere i negoziati sull’Accordo Complessivo sugli Investimenti, che è quasi in dirittura d’arrivo, e di stabilire un controllo sugli investimenti delle imprese private in Cina.
Il governo cinese non si è mostrato turbato. Il 31 marzo, il direttore generale per gli Affari Europei presso il ministero degli Esteri, Wang Lutong, ha twittato: “Recentemente la parte UE parla tanto di ‘de-risking’. Se un rischio c’è, è quello di collegare il commercio con l’ideologia e la sicurezza nazionale, creando lo scontro tra i blocchi. La Cina è pronta a lavorare con l’UE per rifiutare lo sganciamento e promuovere la prosperità globale”.
A giudicare da come l’UE e la NATO hanno “de-rischizzato” il sistema bancario nell’ultimo quindicennio, sganciandolo dagli investimenti produttivi, c’è da aspettarsi altrettanto successo nel “de-risking” nei confronti di una Cina alquanto produttiva.