La rivista medica britannica Lancet ha pubblicato uno studio di Andrea e Giuseppe Remuzzi, di Bergamo, teso a informare correttamente il pubblico internazionale sulla situazione in Italia e motivare un’azione precoce su due fronti per combattere il Coronavirus: 1) Forti misure di distanza sociale e 2) Forte incremento delle capacità di terapia intensiva (vedi https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)30627-9/fulltext?dgcid=raven_jbs_etoc_email).
“È disperatamente necessaria una risposta globale coordinata”, scrivono i due esperti. Paragonando il caso italiano a quello della provincia cinese di Hubei, rispettivamente con 60 milioni di abitanti, “possiamo assumere che avremo bisogno approssimativamente di 4000 letti in unità di terapia intensiva nel peggiore periodo dell’infezione, che si prevede in circa quattro settimane dall’11 marzo. Questa è una sfida per l’Italia, perché ora ci sono poco più di 5200 letti di terapia intensiva in totale. Ora lo scopo è di aumentare questo numero per soddisfare i bisogni dell’emergenza futura. Secondo le nostre previsioni, abbiamo solo poche settimane di tempo per raggiungere questo obiettivo trovando il personale, le apparecchiature tecniche e i materiali.
“Queste considerazioni potrebbero applicarsi anche ad altri Paesi europei che potrebbero trovarsi con un numero simile di pazienti infetti e simili necessità riguardo ai ricoveri in terapia intensiva”.[enfasi aggiunta]
I due esperti calcolano che in assenza di opportune misure, considerando che la metà degli attuali posti nelle UTI (Unità di Terapia Intensiva) potessero essere usati per pazienti Covid-19, il sistema avrebbe raggiunto la massima capacità il 14 marzo (nel frattempo, grazie alle nuove capacità create, il sistema ha retto oltre quella data, NdR). Essi ritengono che le misure di contenimento varate dal governo vadano nella direzione giusta, ma devono essere applicate con rigore. Basandosi sull’esperienza di Hubei, “se il cambiamento nella pendenza della curva [dei contagi] non avviene subito, i problemi clinici e sociali assumeranno dimensioni inimmaginabili che avrebbero risultati catastrofici”.
Tuttavia, se le misure di contenimento funzioneranno, e “se l’epidemia italiana segue la stessa tendenza della Cina, possiamo suggerire che il numero dei nuovi pazienti infetti inizi a diminuire entro 3-4 giorni dall’11 marzo”. NB: il numero continuerà ad aumentare, ma a un ritmo decrescente. Raggiungerà un picco come previsto sopra, per cui vi sarà bisogno di 4000 letti UTI disponibili.
Perciò, “prevediamo che se la tendenza esponenziale continuasse nei prossimi giorni, vi sarebbe bisogno di oltre 2500 letti UTI tra una settimana”.
“Nel frattempo, il governo ha predisposto misure che permetteranno al sistema sanitario di assumere 20 mila medici e infermieri e fornire 5 mila nuovi ventilatori agli ospedali italiani. Queste misure sono un passo nella giusta direzione, ma il nostro modello ci dice che esse devono essere eseguite urgentemente, nel giro di giorni. Altrimenti, un numero sostanziale di morti non necessarie diventerà inevitabile”.
I due esperti ammoniscono che se non si riesce a organizzare la giusta risposta, si potrebbe giungere a una situazione in cui medici e infermieri “dovranno seguire le stesse regole seguite dagli operatori sanitari nelle zone di conflitto e di disastri”, e cioè decidere di curare solo pazienti con maggiore aspettativa di vita.
Al proposito, sono circolate voci su Internet e anche su giornali blasonati sull’applicazione negli ospedali italiani del “triage da catastrofe”, e cioè che già si stia decidendo chi debba vivere e chi debba morire a causa della scarsità di risorse. Le voci hanno raggiunto la Germania, dove il capo del Robert Koch Institut, l’istituzione che dà ogni giorno il briefing sullo stato dell’epidemia, ha affermato in una conferenza per la stampa che “alcuni ospedali italiani” stanno già facendo queste drammatiche scelte. Il canale tedesco di RT ha pubblicato un articolo che ripeteva simili tesi.
Rispondendo alle voci, l’assessore lombardo al Lavoro e all’Istruzione Melania Rizzoli (foto), noto chirurgo e scrittrice, ha pubblicato un articolo intitolato “Niente liste della morte/Nessuno sceglie i pazienti da salvare” su Libero del 13 marzo. “È assolutamente falso – ha scritto – affermare che i medici lombardi, in queste drammatiche settimane di emergenza sanitaria per il Coronavirus, siano stati costretti a scegliere chi curare e chi no, perché in medicina non è mai esistita alcuna regola scritta in proposito, non esiste alcun vademecum o documento ufficiale o liste di pazienti meritevoli di cure prioritarie, perché è contro la deontologia professionale, ed anche perché esiste un principio etico che tutti gli operatori sanitari conoscono, applicano e rispettano, su come comportarsi in caso di gravi e plurime situazioni critiche, salvaguardando sempre e comunque la vita di ognuno. Inoltre, non è assolutamente vero che ci sia qualcuno che venga lasciato morire in assenza di cure o posti letto, non è vero che gli over 80 vengono abbandonati al loro destino, non è vero che i pazienti anziani non vengono intubati, non è vero che si sceglie di assistere chi ha maggiori possibilità di sopravvivenza, e soprattutto non è vero che si sceglie di curare in base all’età anagrafica”.
Il lungo articolo, che per brevità di spazio non possiamo riprodurre integralmente, si conclude ricordando l’alto prezzo pagato dagli operatori sanitari, molti dei quali hanno contratto il virus e sono morti. “Nel rispetto – si conclude l’articolo – di queste persone morte sul campo, mentre cercavano di salvare pazienti che grazie a loro sono guariti, sono stati dimessi e restituiti alla vita, cerchiamo tutti di non diffondere più notizie false, tendenziose e prive di fondamento, di non scrivere e divulgare presunte verità e certezze che non esistono, che sono ridicole, e che offendono ed umiliano la loro etica, la loro professionalità e la loro dignità. Che continua a vivere anche dopo la loro tragica scomparsa.”