I soliti media descrivono Michael Bloomberg, il quale è sceso in lizza per la nomina presidenziale democratica, come un “moderato” tra una schiera di radicali. Ma il plurimiliardario ex sindaco di New York è il più radicale di tutti, come testimonia la sua campagna per uscire dal settore del carbone entro il 2030, che ha fatto arrabbiare non poco i lavoratori della Pennsylvania e gli utenti americani in generale.
Parlando al MIT il 7 giugno scorso, Bloomberg ha annunciato la sua campagna “Oltre il Carbone” per chiudere tutte le centrali a carbone entro il 2030 e bloccare la costruzione di nuove centrali a gas.
Bloomberg aveva già lavorato con la Beyond Coal, fondata nel 2011 dal Sierra Club, che quest’anno ha annunciato di aver colpito fino a oggi 289 centrali a carbone, costringendole alla cessazione dell’attività o ad annunciare la chiusura prematura. Si tratta di oltre la metà degli impianti in funzione negli Stati Uniti. Bloomberg ha dichiarato di voler chiudere le rimanenti 241 entro dieci anni.
Il fabbisogno è stato parzialmente coperto dal Canada, da dove l’elettricità è trasmessa attraverso trentasette collegamenti trasfrontalieri.
Questo mese chiuderanno altri due importanti impianti a carbone. Il 6 novembre la First Energy Solutions ha iniziato la disattivazione della più grande centrale a carbone della Pennsylvania, che avrebbe dovuto chiudere nel 2021, ma il proprietario è fallito e ha annunciato di voler chiudere l’ultima unità rimasta dopo la disattivazione di altre due, avvenuta all’inizio dell’anno.
La prossima settimana sarà chiusa la Navajo Generatine Station (NGS), la più grande centrale dell’Ovest. Anche qui si tratta di una chiusura prematura.