Banchieri, finanzieri e top manager sono calati su Glasgow a bordo di jet privati allo scopo di raccogliere consensi verso la nuova mega-“bolla verde” che sperano salverà il sistema bancario dall’inevitabile collasso. In una tifoseria da curva sud, si sono schierati dietro il progetto dell’ex governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney, attuale inviato speciale dell’ONU sui cambiamenti climatici e la finanza: l’Alleanza di Glasgow Per lo Zero Netto (GFANZ).
Di fronte al previsto fallimento della COP26, Carney ha annunciato che il miliardario Michael Bloomberg si sarebbe unito come co-presidente dell’alleanza. Insieme, i due hanno firmato un editoriale su Bloomberg News in cui si vantano di aver riunito 450 imprese in 45 Paesi per un totale di oltre 130 mila miliardi di patrimonio amministrato e di assets.
“Accelerare l’adozione di energia pulita e altre infrastrutture sostenibili abbastanza in fretta da evitare il peggiore impatto dei cambiamenti climatici richiederà migliaia di miliardi – probabilmente nell’ordine di 100 mila miliardi di dollari – di nuovi investimenti. La maggior parte di essi dovrà provenire dai privati (…) imprese e investitori sono esposti in misura significativa ai rischi dei cambiamenti climatici, e allo stesso tempo, la corsa verso l’energia pulita e le infrastrutture sostenibili è una grande opportunità di investimento”.
Tutte le 450 imprese, si sostiene, “si sono impegnate a raggiungere un portafoglio titoli a zero emissioni e a fare seguire alle parole i fatti. L’alleanza è pronta a mettere sul piatto le migliaia di miliardi di dollari richiesti per finanziare la transizione verso un futuro verde. Ma abbiamo bisogno che gli altri agiscano di concerto”.
Ma crediamo veramente che i privati pagheranno il conto? Persino il Financial Times ne dubita. In un editoriale intitolato “L’offerta dei 130 mila miliardi di Carney è troppo grande per essere credibile”, il quotidiano finanziario britannico avvisa Carney di non esagerare ciò che i privati possono fare per la transizione verde e cita un “banchiere scettico” che dice: “La realtà è che la transizione richiederà ingenti interventi ed investimenti pubblici”. L’editoriale punta anche al fatto che la cifra di 130 mila miliardi non rappresenta “fondi pronti per l’uso”, ma il totale dei fondi gestiti dai membri della GFANZ.
L’Economist aggiunge che la mancanza di adesione dei governi dei Paesi in via di sviluppo è un altro motivo per dubitare che “la GFANZ salvi il mondo”.