Molto è stato detto e scritto sui fatti del 6 gennaio a Capitol Hill. La leadership del Partito Democratico e i media dominanti hanno subito parlato di insurrezione contro il governo degli Stati Uniti sobillata dal presidente Trump. Per quanto si possa odiare la politica di Donald Trump o la pericolosa ideologia di parte dei suoi elettori della destra radicale, questa è un’affermazione assurdamente esagerata. Tuttavia, serve a uno scopo. È il prossimo atto del “colpo di stato” contro la presidenza degli Stati Uniti e la sua Costituzione che il cosiddetto “deep state” conduce da quattro anni.

Prima di tutto, due osservazioni: 1) nell’assalto all’edificio del Congresso erano chiaramente coinvolti provocatori e teppisti (certamente infiltrati, come è prassi standard, da agenti dell’FBI), in mezzo a una manifestazione altrimenti pacifica e ordinata e 2) c’è stata una spaventosa mancanza di sicurezza a Capitol Hill e i rinforzi sono arrivati con un sospetto ritardo, anche se tutti avevano previsto da giorni che ci sarebbero state violenze, se non addirittura una vera e propria rivolta.

Pertanto, ci si dovrebbe chiedere “cui prodest”. Chi ha tratto vantaggio dal caos? Prima di tutto, la discussione sui brogli e le irregolarità di voto che si sarebbe dovuta tenere al Congresso non si è svolta e il Senato e la Camera hanno finito per certificare i risultati delle elezioni senza le contestazioni previste. In secondo luogo, si sono succedute richieste isteriche nei confronti di Donald Trump perché lasciasse immediatamente la Casa Bianca, pena incorrere in una nuova procedura di impeachment. In terzo luogo, le aziende private “Big Tech” e i social media come Facebook e Twitter hanno rivendicato il presunto diritto di aumentare la sorveglianza sulla popolazione e di imporre una maggiore censura, compreso il passo senza precedenti di vietare al Presidente degli Stati Uniti debitamente eletto di comunicare con i cittadini.

Questi eventi e le loro conseguenze sono stati esaminati dalla presidente dello Schiller Institute Helga Zepp-LaRouche in un articolo del 9 gennaio. Dopo un’attenta riflessione, la signora LaRouche è giunta alla conclusione che l’assalto al Campidoglio vada considerato come “una diretta continuazione degli attacchi [terroristici] dell’11 settembre, le cui vere menti non sono mai state veramente nominate”. Ha ricordato che nel gennaio 2001 il suo defunto consorte Lyndon LaRouche aveva previsto che ambienti vicini all’amministrazione Bush entrante “avrebbero inscenato un ‘incendio del Reichstag’ a causa dell’incapacità di affrontare l’imminente tracollo finanziario, come pretesto per attuare misure dittatoriali”. E infatti, gli attacchi dell’11 settembre 2001 portarono all’adozione del famigerato “Patriot Act”, che abrogò una serie di diritti civili e mise in moto i sistemi di sorveglianza di massa della NSA.

Allo stesso modo, continua la signora LaRouche, i disordini del 6 gennaio fungono da pretesto per “eliminare qualsiasi dissenso verso le politiche dell’establishment neoliberista”. Significativamente, Michelle Obama ha esortato i giganti IT della Silicon Valley, che sono parte integrante del complesso militare-industriale, a bandire Trump e tutti i sostenitori del raduno del 6 gennaio dai social media.

Questo dovrebbe suonare come un “campanello d’allarme” per tutti coloro “che hanno a cuore lo Stato di diritto, la libertà di espressione e i diritti civili”. Si tratta del tentativo di instaurare una dittatura sul pensiero e di “eliminare l’opposizione alle politiche dell’élite finanziaria transatlantica”, che vuole disperatamente salvare il sistema finanziario irrimediabilmente in bancarotta e quindi la sua base di potere.

“Corriamo il grave pericolo di un nuovo fascismo”, avverte Zepp-LaRouche, e invita i cittadini di tutto il mondo a battersi per l’alternativa, indicata da Lyndon LaRouche nelle sue quattro leggi, tra cui spicca la legge Glass-Steagall.