Joycelyn Elders fu Ministro della Sanità degli Stati Uniti nell’Amministrazione di Clinton (1993-94). Fu la prima afroamericana e la seconda donna a ricoprire quella carica. A 87 anni, è ancora attiva e rimane impegnata con passione all’istruzione dei giovani e ad aiutarli a trovare occupazioni produttive e gratificanti.
La dott.ssa Elders è stata relatrice alla prima sessione della videoconferenza internazionale dello Schiller Institute del 27 giugno 2020 (vedi SAS 27/20) nel corso della quale, in riferimento alla pandemia di Covid-19, ha affrontato il tema della “nuova piattaforma sanitaria per il mondo”. Ha iniziato citando un recente promemoria di Helga Zepp-LaRouche, che proponeva di impiegare i giovani del settore industrializzato, in particolare quelli provenienti dalle fasce economicamente svantaggiate della società con poche o nessuna prospettive per il futuro, nella costruzione di sistemi sanitari nel settore in via di sviluppo. I giovani che aderissero, riceverebbero una formazione medica di base e potrebbero essere impiegati come forze ausiliarie assieme a medici professionisti, infermieri, operatori ospedalieri, ecc. La signora LaRouche ha inoltre proposto che tali programmi siano realizzati in collaborazione con le organizzazioni sociali o religiose interessate, le istituzioni pubbliche, le organizzazioni umanitarie, ecc.
La dott.ssa Elders ha attinto alla sua pluriennale esperienza nell’ambito della sanità pubblica per dare il proprio parere su come potrebbe funzionare la proposta della signora LaRouche. Citiamo dal suo intervento:
“Sarà molto importante, per esempio, nelle campagne dell’Africa, così come è importante nelle città degli Stati Uniti, che le persone di questi quartieri e comunità siano molto coinvolte nel processo. Pertanto, i giovani africani dovrebbero essere accompagnati da giovani provenienti dall’America ed essere formati assieme sin dall’inizio… È importante sottolineare che gli istituti e le università nere, storicamente importanti, così come i campus delle scuole superiori nei centri urbani, potrebbero essere utilizzati come punti di coordinamento centrale, per riunire i volontari desiderosi di partecipare a tale programma. Più in generale, i vari college, i centri universitari, le chiese e altre organizzazioni già profondamente coinvolte in questo tipo di attività aspettano solo di essere incoraggiati dai giovani che vogliano contribuire a fare ciò che forse solo essi possono fare: salvare la vita dei loro coetanei in Africa, nelle Americhe, in Asia e altrove, tramite dimostrazioni di speranza e di salute.

Costruire un nucleo di operatori sanitari comunitari

“In primo luogo, avremo bisogno di molti operatori sanitari locali. Possiamo trarre spunto da quello che fu fatto nel 1861, durante la guerra civile americana, a New York, con quella che fu chiamata la Commissione Sanitaria. Prendiamo alcune persone della comunità, diamo loro una formazione sanitaria di base e le sviluppiamo come assistenti medici e tecnici medici. La cosa più importante è che saranno molto conosciuti nelle loro comunità…”
“Dobbiamo avere schiere di persone provenienti dalla comunità, operatori sanitari che comprendano la comunità e la conoscano, così come supervisori immediati, persone con una formazione medica elementare, fino agli assistenti infermieri, ai praticanti, ai medici e ad altri, fino al livello di super-specializzazione. Spesso pratichiamo troppe cure particolari e non abbastanza sanità pubblica. Non pratichiamo abbastanza quella sanità pubblica di base che contribuirebbe a mantenere la salute, più di cento chirurghi”.
“Questa non è una critica contro la specializzazione, ma è per ricordare che siamo in una condizione simile a una guerra mondiale, che richiede qualcosa di cui Martin Luther King e altri hanno spesso parlato – un’azione creativa, non violenta e diretta, ma nel campo della salute. E abbiamo bisogno di volontari, proprio come il movimento americano per i diritti civili ebbe dei volontari. Essi saranno la spina dorsale di questo sforzo. In questo caso, dobbiamo istituire brigate e battaglioni di giovani coraggiosi, che possano anche rischiare la vita, ma in modo responsabile, per salvare la vita degli altri sia qui sia in altri Paesi”.
“Non si tratta di qualcosa di completamente nuovo. Molte nazioni hanno sperimentato elementi di tali programmi, che hanno funzionato con relativo successo in passato, e i membri dell’Unione Africana, o dell’OMS, sono ben consapevoli di queste misure. Questa, tuttavia, è una circostanza che richiede l’equivalente di un’alleanza in tempo di guerra, ma un’alleanza per il progresso. Qui possiamo contare i successi, non nel numero di nemici uccisi in combattimento, ma nel numero di vite salvate grazie all’assistenza sanitaria. Saremo anche aiutati dall’onnipresenza di alcune capacità dei social media che possono fornire mezzi di stretto coordinamento che altrimenti non sarebbero disponibili”.
“La lotta contro questo virus deve avere un volto umano. Non v’è una parte della popolazione che possiamo permetterci di ignorare. Per esempio, le carceri già sovraffollate e spesso fuori norma vedranno un’esplosione di contagi. Persone che sono state accusate di furto o di altri crimini non violenti, o chiunque altro, devono essere condannate a morte di fatto, o essere messe in pericolo, solo perché il resto di noi ha deciso di dimenticare chi siano? […]”
“Ci saranno più di 2 milioni di giovani americani attualmente detenuti nelle carceri per reati non violenti che potrebbero essere più che disposti a diventare parte di questa soluzione, per contribuire ad adeguare i sistemi sanitari sia nella loro comunità, sia in altre nazioni. E in un’emergenza come questa è urgente adottare un modo di pensare coraggioso come questo per risolvere la crisi”.
La dottoressa Elders ha espresso la bella idea che una mobilitazione simile potrebbe “sostituire l’immagine dei giovani, troppo spesso negativa e fonte di disordini, con l’immagine dei guaritori, di coloro che si dedicano a preservare la vita, non a distruggerla”.