Qualsiasi governo con un briciolo di patriottismo respingerebbe con indignazione richieste come quelle formulate da Rutte e si rifiuterebbe persino di negoziare in questi termini. Il governo Conte, invece, si comporta come se l’Italia fosse un Paese fallito e dovesse mendicare l’aiuto dai partner europei. Addirittura, poiché se tutto va bene i soldi del Recovery Fund ci saranno solo tra un anno, sembra che abbia già deciso di ricorrere ai fondi speciali “senza condizioni” del MES che sarebbero disponibili già quest’anno.
Ma l’Italia potrebbe far ricorso al suo vasto e ancora intatto credito nazionale per finanziare un programma di investimenti con i fiocchi. Se consideriamo che negli ultimi due mesi il Tesoro ha potuto piazzare nuovi titoli per oltre cinquanta miliardi a un tasso decennale dell’1,5%, di fronte ad una domanda del doppio, questa dovrebbe essere la via maestra per raccogliere risorse. Alcuni economisti, come l’ex sottosegretario Michele Geraci, suggeriscono un’emissione “jumbo” di 100 miliardi e non hanno torto: i vantaggi di un tale prestito superano lo svantaggio dei costi più alti – ma di poco – perché non vi sarebbero condizionamenti. Inoltre, se il prestito è rivolto a investitori nazionali, il costo si trasformerebbe in un trasferimento di ricchezza finanziaria ai cittadini italiani. Ma il governo Conte è ideologicamente contrario a questa opzione perché votato all’idea fantasma della “sovranità europea”.
A testimoniare la poca serietà del governo è l’elenco dei 130 progetti infrastrutturali in cui dovrebbero essere investiti i soldi del Recovery Fund. Della lista fanno parte l’estensione della TAV alla Calabria e alla Sicilia e persino il Ponte di Messina, la cui costruzione era stata avviata nel 2011 e poi bloccata dal governo Monti. Tuttavia, un esame del corposo elenco rivela che quasi tutti i progetti erano previsti nella Legge Obiettivo dei governi Berlusconi-Tremonti, ma solo una manciata di progetti potrebbe essere immediatamente tradotta in cantiere. Il resto si trova in uno stadio pre-progettuale e passerebbero mesi, se non anni, prima di arrivare al progetto esecutivo, quindi all’avvio dei lavori.
Per quanto riguarda il Ponte di Messina, si assiste al massimo di cacofonia nel governo. Mentre il Ministro Elena Bonetti scrive su facebook.com che “è un’opera che va fatta”, quello dell’Economia Gualtieri in Parlamento ha dichiarato che si dovrà fare un nuovo studio di fattibilità per vedere come ridurre sensibilmente i costi. Siamo alle farse. Ma il bluff del governo è stato chiamato il 9 luglio, quando un ordine del giorno presentato dall’opposizione a favore del Ponte è stato respinto dalla maggioranza di governo, che ha votato compatta con 267 voti contro 194.

(Nella foto l’allora sottosegretario allo Sviluppo Economico Michele Geraci al convegno di MoviSol e Regione Lombardia su “l’Italia sulla Nuova Via della Seta”).