L’annuncio del 9 ottobre, da parte del ministero del Commercio cinese, riguardo alle misure di controllo sulle esportazioni di terre rare, ha inviato un messaggio agli Stati Uniti e al mondo: chiunque voglia intraprendere una guerra commerciale con Pechino ne uscirà sconfitto. Senza le terre rare provenienti dalla Cina, l’industria occidentale si fermerebbe. Ancora più importante, dal punto di vista di Washington, la sua potenza militare dipende fortemente dalle tecnologie basate sulle terre rare, tra cui i caccia F-35, i sottomarini di classe Virginia e Columbia, i missili Tomahawk, i sistemi radar, i velivoli senza pilota Predator e la serie di bombe intelligenti Joint Direct Attack Munition.
Il messaggio è stato recepito dall’amministrazione statunitense e Donald Trump, dopo aver minacciato di annullare l’incontro previsto con Xi Jinping e di imporre una tariffa del 100%, ha fatto marcia indietro. La Cina, da parte sua, ha precisato che le nuove misure non funzioneranno automaticamente, ma saranno utilizzate per verificare se le aziende rispettano le normative esistenti.
Questo sviluppo potrebbe avere l’effetto della proverbiale legnata sulla testa dell’asino per Trump, che deve capire che un approccio geopolitico, di cui la guerra commerciale fa parte, agli affari mondiali non funziona e che dovrebbe adottare un approccio cooperativo con la Cina e le nazioni del mondo in generale.
Un esempio delle cattive influenze esercitate dall’establishment neoconservatore sull’amministrazione Trump è un rapporto velenoso pubblicato dall’Hudson Institute, che tenta di dimostrare che i BRICS, e in particolare la Cina come loro forza motrice, mirano a sostituire il dollaro come valuta di riserva/scambio mondiale (https://www.hudson.org/foreign-policy/how-counter-brics-preserve-global-dollar-dominance-zineb-riboua). Il fatto è che in questo secolo, i due fattori che hanno ridotto il ruolo del dollaro come valuta di riserva sono stati 1) l’introduzione dell’euro e 2) l’uso del dollaro come arma (sequestro degli asset come ritorsione/sanzione).
Nel 1998, prima dell’introduzione dell’euro nel 1999/2000, la quota del dollaro nelle valute di riserva era di circa il 71%, mentre il marco e il franco insieme rappresentavano il 20%. La quota dell’euro ha sostituito quella combinata delle valute tedesca e francese, attestandosi in realtà a un livello leggermente inferiore, pari al 18%. Tuttavia, nel 2010 la quota dell’euro era salita al 27% e quella del dollaro era scesa al 62%. In altre parole, l’euro ha rosicchiato quasi il 10% al dollaro! Nello stesso periodo, il presunto rivale del dollaro, lo yuan cinese, è rimasto stabile con una variazione dell’1% circa.
Oggi, la quota del dollaro è al 57,8%, mentre quella dello yuan è al 2,1%. Tuttavia, l’euro è al 20,1%. Chi ha eroso il ruolo del dollaro?
La verità è che né la Cina, né i paesi BRICS hanno mai mirato a sostituire/indebolire il dollaro come valuta di riserva/scambio, ma sono stati costretti a “de-dollarizzare” dopo che, nel 2022, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno deciso di utilizzare la valuta statunitense come arma nell’ambito delle sanzioni contro la Russia. Tuttavia, la “diversificazione” non ha investito altre valute, ma, ad esempio, l’oro.
Nell’ottobre 2022, la quota dell’oro sul totale delle riserve delle banche centrali era pari a circa il 3,2%. Questa quota è salita a circa il 4,6% all’inizio/metà del 2024. Secondo i rapporti della Banca centrale europea e del World Gold Council, citati dal Wall Street Journal, nel 2025 la quota dell’oro sulle riserve ufficiali globali è salita a circa il 20%, superando l’euro.
In altre parole, il principale nemico del dollaro è il dollaro stesso. La recente decisione di consentire l’emissione di stablecoin private iperinflazionistiche garantite dal dollaro potrebbe esserne l’ultimo chiodo sulla bara.