Il direttore dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard aveva appena lanciato l’accusa a NATO e UE di sabotare gli sforzi di pace in Ucraina, che Volodymir Zelensky lanciava, il giorno di Natale, l’augurio di morte a Putin. Quattro giorni dopo, uno sciame di droni di Kiev si abbatteva su una delle residenze di Putin. “Sono arrabbiato” è stata la reazione di Trump: “Non è la cosa da fare in questo momento”, ha detto ai giornalisti.

Non è mai stata dietrologia, anzi non è mai stato così evidente che il blocco UE + UK fa di tutto per far fallire i negoziati. Nello specifico, le provocazioni mirano a ottenere una reazione spropositata di Putin che però non è arrivata e probabilmente non arriverà. Ma, usque tandem?

Se la traiettoria del conflitto ucraino sembra ormai decisa e resta solo incerto se questa si concluderà con una vittoria o un trionfo della Russia, che farà da sfondo alla completa irrilevanza dell’UE, il 2026 si apre con gravi interrogativi sul futuro dei rapporti internazionali.

Benché la Strategia di Sicurezza Nazionale per il 2025 dell’amministrazione Trump non definisca la Cina un “nemico strategico”, essa delinea una chiara politica di contenimento nella regione del Pacifico, con l’assistenza degli alleati, tra cui spicca il Giappone (cfr. 50, 51-52/25). Inoltre, il Pentagono ha appena annunciato il più grande accordo di vendita di armi mai stipulato con Taiwan (per un valore di 11,1 miliardi di dollari).

Fortunatamente, il 2026 è anche l’anno del 250esimo anniversario della fondazione degli Stati Uniti d’America. L’Organizzazione LaRouche e i suoi alleati stanno pianificando una campagna massiccia e stimolante volta a riportare la nazione ai suoi principi fondanti, come repubblica fermamente impegnata nella lotta contro il colonialismo e l’imperialismo e per la libertà e il diritto allo sviluppo di tutti. Un compito erculeo, diranno molti, ma d’altra parte i momenti di maggiore crisi sono anche quelli di maggiori opportunità.