Nell’intervista concessa all’EIR il 29 novembre, l’ambasciatore Chas Freeman ha sviscerato e criticato la politica di Washington verso Pechino e Taiwan, un tema che segue da decenni. Quelli del Pentagono, a suo avviso, capiscono che si tratta di “un replay dello scontro sui missili di Cuba durante la Guerra Fredda” (ovviamente stavolta con il ruolo americano invertito), ma “è abbastanza chiaro che l’élite politica americana non fa questo collegamento”. Perciò, tale replica “si fa ogni giorno più probabile”.
Le amministrazioni Trump e Biden hanno oltrepassato la “linea rossa” che potrebbe provocare una guerra con la Cina, ha detto Freeman, che svolse un ruolo centrale nell’apertura dei rapporti diplomatici tra Cina e USA negli anni Settanta. “Nelle finezze del tema di Taiwan nei rapporti USA-Cina, essenzialmente gli Stati Uniti accettarono tre condizioni: uno, che avremmo troncato i rapporti ufficiali con Taipei; due, che avremmo ritirato tutto il personale e le installazioni militari dall’isola; e tre, che avremmo svuotato il nostro impegno a difendere l’isola. Siamo tornati indietro su tutti e tre questi impegni”.
Anche Graham Fuller, studioso dell’Islam che ha lavorato venticinque anni nella CIA, sia in paesi mediorientali che a Hong Kong, ha concesso un’intervista all’EIR in cui si è detto molto preoccupato per il pericolo di guerra, in particolare contro Russia e Cina, e ha aggiunto un altro punto caldo: l’Iran. (https://larouchepub.com/other/interviews/2021/4850-graham_fuller.html)
Se gli Stati Uniti non “abbassano la retorica”, ci saranno conseguenze catastrofiche, ha detto. Definire l’Iran la minaccia terroristica statuale numero uno è “grottesco”, specialmente se si considera come l’Arabia Saudita sia invece un grande sponsor del terrorismo. Allo stesso modo, Fuller trova “ridicolo” accusare la Cina di genocidio contro gli Uighuri, un popolo che egli conosce bene.
Sia Freeman che Fuller credono che Biden non desideri una guerra, ma hanno poca fiducia nella sua capacità di scavalcare la “dipendenza da guerra” tra le élite statunitensi e il complesso militare-industriale.
Come spieghiamo nell’articolo di seguito, se si cerca una razionalità per la “dipendenza dalla guerra”, questa va trovata nella dinamica dell’economia, sull’orlo del collasso a causa del saccheggio dell’economia reale ad opera di quella finanziaria, che si vuole continuare ed accentuare sotto il mantello del “Green New Deal”.