L’incriminazione del Presidente russo Putin da parte della Corte Penale Internazionale (ICC), avvenuta il 17 marzo, è una prova ulteriore del fatto che la guerra per procura dei governi occidentali contro la Russia in Ucraina è un progetto gestito da persone senza alcun contatto con il mondo reale. L’atto, annunciato dal procuratore capo della ICC Karim Ahmad Khan (foto), un magistrato britannico, accusa Vladimir Putin, insieme al commissario russo per i diritti dell’infanzia, Maria Lvova-Belova, di aver deportato illegalmente bambini ucraini in Russia. È stato affermato che almeno 15.000 bambini sarebbero stati rapiti dalle forze russe, mentre i russi ammettono che 1.400 sono stati evacuati dalle aree dell’Ucraina annesse dalla Russia, per lo più da orfanotrofi e ospedali in zone di guerra, per essere messi in sicurezza.
La mossa è chiaramente dovuta a motivi politici. Ciononostante, Biden ha definito le accuse “giustificate” e ha detto che “esprimono un concetto molto forte”, pur riconoscendo che, come la Russia, gli Stati Uniti non riconoscono la ICC come autorità legittima.
La tempistica dell’incriminazione è ricca di ironie, in quanto arriva alla vigilia del vertice tra il Presidente cinese Xi Jinping e Putin a Mosca e quando sui media statunitensi si legge che i militari e l’intelligence ritengono che l’Ucraina non possa vincere e che sia giunto il momento di negoziare.
Un’ironia ancora più profonda, tuttavia, che probabilmente è sfuggita ai discutibili poteri di discernimento di Joe Biden, è che le incriminazioni sono arrivate due giorni prima del ventesimo anniversario della guerra in Iraq, una ricorrenza segnata da numerosi articoli che sottolineano l’incapacità di giudicare penalmente i militari o i funzionari governativi responsabili di quella guerra. Né la Corte penale internazionale, né alcun altro organismo giudiziario ha perseguito George W. Bush o Tony Blair per aver scatenato con falsi pretesti una guerra che, secondo le stime della rivista medica britannica Lancet, ha causato più di 601.000 morti iracheni tra il 19 marzo 2003 e il 2006, e innumerevoli altri negli anni successivi, a causa della disgregazione della società civile, dello scoppio del terrorismo e della guerra civile-religiosa conseguenti all’invasione.
Ricordiamo che la decisione di attaccare l’Iraq si basava su un dossier contraffatto in cui si sosteneva che l’Iraq possedesse armi di distruzione di massa che minacciavano l’Occidente e che Saddam Hussein era alleato con i terroristi di Al Qaeda, presunti autori degli attacchi terroristici dell’11 settembre contro gli Stati Uniti – anche se l’allora segretario alla Difesa Powell ha poi ammesso che sapeva che l’accusa era falsa.
Blair, nel discorso in cui annunciò l’avvio della guerra il 20 marzo 2003, ribadì le informazioni false (quindi mentì) e ordinò l’attacco “per rimuovere Saddam Hussein dal potere e disarmare l’Iraq delle sue [inesistenti] armi di distruzione di massa”.
Tony Blair, George W. Bush e la loro squadra di guerrafondai neoconservatori vengono giustamente considerati nella maggior parte del mondo dei criminali di guerra che inspiegabilmente non sono stati portati in giudizio per i loro crimini, mentre la Corte penale internazionale, fondata in parte grazie all’iniziativa della Open Society di George Soros, ha incriminato Putin per aver portato via bambini indifesi da una zona di guerra. Poi c’è ancora qualcuno che si chiede perché il “Sud globale” si sia rifiutato di unirsi agli Stati Uniti e alla NATO nella condanna della Russia e nel riarmo dell’Ucraina, per imporre un cambio di regime a Mosca.