Per gli europei, aderire alla Nuova Via della Seta (BRI, Belt and Road Initiative) non basta: occorre mettere le proprie infrastrutture in condizione di approfittarne. È questo che si comincia finalmente a chiedere in Germania e Italia.

Il 30 aprile si è tenuta la seconda riunione pubblica della Task Force Cina, presieduta dal sottosegretario Michele Geraci (nella foto durante il convegno “l’Italia sulla Nuova Via della Seta” tenuto da MoviSol e Regione Lombardia il 13 marzo a Milano). Mentre Geraci ha affrontato il tema del commercio, quello delle infrastrutture è stato discusso da Daniele Rossi, presidente di Assoporti.

Rossi ha elencato tre fattori che fanno dell’Italia il terminale naturale della Via della Seta Marittima: la posizione geografica, che la investe di ben quattro TEN-T, i corridori trans-europei; la possibilità di fare affidamento su infrastrutture integrate di trasporto su strada, ferrovia, aereo e portuali; e una certa familiarità con il sistema e la mentalità cinesi.

Nessun altro Paese può vantare tutti e tre questi fattori, ha sottolineato Rossi. Tuttavia, le infrastrutture terrestri vanno completate e benché l’Italia abbia almeno quindici porti di rilevanza, “nessun porto italiano è oggi in grado di ricevere la Via della Seta”, è stato l’allarme lanciato da Rossi. La Via della Seta non è questione di qualche migliaio di container in più, ha spiegato, ma è ciò che dovrebbe portare nei nostri porti le mega-navi con dieci-dodicimila container ognuna. I porti italiani oggi non sono in grado di accoglierle regolarmente, ogni uno o due giorni. Perciò è urgente adeguare le infrastrutture e mettere i porti in rete (ad esempio Trieste con Venezia e Ravenna nell’alto Adriatico.

In Baviera, uno studio commissionato dalla Camera di Commercio della Baviera all’istituto di ricerca economica IFO è giunto alla conclusione che, oltre al commercio con la Cina, la Nuova Via della Seta offre grandi occasioni di crescita alle esportazioni bavaresi in Ucraina, Bielorussia e Kazakistan come pure, specificamente per prodotti farmaceutici, in Mongolia e Uzbekistan. In direzione opposta, possono svilupparsi le importazioni da Kazakistan, Ucraina, Azerbaigian, Armenia, Uzbekistan e Kirghizistan. I vantaggi proverranno dal miglioramento delle infrastrutture da questi Paesi ma anche da investimenti al di fuori della Via della Seta.

Tuttavia, “per permettere alle imprese di trarre benefici da questi cambiamenti, i decisori politici devono creare le necessarie infrastrutture di trasporto in Baviera e in Europa. Senza un collegamento fisico con i corridoi della Via della Seta, l’Europa e la Baviera perdono il contatto con quegli sviluppi”. Lo studio non può fare a meno di ripetere il solito mantra che le imprese europee non debbano essere “discriminate” sulla Via della Seta.