La tregua entrata in vigore nell’Ucraina orientale alla mezzanotte del 15 febbraio dopo i negoziati-maratona tra Putin, Merkel, Hollande e Porošenko, rimane estremamente fragile. Le milizie neonaziste già protagoniste del golpe del Maidan contro il governo Janukovič nel febbraio 2014 hanno respinto l’accordo. Esse non sono nemmeno sotto il controllo del governo centrale di Kiev, e sono in realtà squadre di hooligans al soldo degli oligarchi ucraini.

Una cosa è chiara: Hollande e Merkel hanno visto nei colloqui di Minsk l’ultima possibilità di impedire una guerra generale al centro dell’Europa nel caso in cui l’amministrazione Obama iniziasse ad armare direttamente le forze armate ucraine. Mentre scriviamo non è ancora stata presa una decisione finale a Washington, anche se si dà seguito alla decisione di inviare consiglieri militari a Kiev.

Negli ultimi mesi di rinnovati combattimenti nell’Ucraina orientale, le forze filorusse hanno fatto consistenti conquiste territoriali e circondato un forte contingente di truppe governative (si parla di sei-ottomila soldati) a Debaltseva. Con diserzioni a pioggia, morale a terra e diffusa renitenza alla leva, le forze armate ucraine erano già vicine al collasso. Per i leader di Francia e Germania, l’idea di armare un esercito in via di disintegrazione è stata vista con grande scetticismo, e giudicata come una grave mancanza di comprensione della realtà da parte di Washington.

Infatti è proprio così. La politica ucraina dell’amministrazione Obama è stata fin dal primo giorno gestita da un gruppo assortito di neoconservatori e ideologhi dell’interventismo “umanitario”, guidati da Victoria Nuland.

Il pericolo che la crisi ucraina sfoci in una guerra nucleare, ormai riconosciuto anche dai cosiddetti media mainstream, ha indotto gli esperti di sicurezza nazionale a lanciare un allarme corale. Esso ha persino unito l’ex senatore Sam Nunn, l’ex ministro degli Esteri russo Igor Ivanov e l’ex ministro della Difesa britannico Des Browne, nella stesura di un appello per una revisione dell’intera architettura di sicurezza euro-atlantica che includa pienamente la Russia. I tre hanno ammonito che il pericolo di guerra termonucleare è oggi maggiore che in qualsiasi altro momento dalla crisi dei missili di Cuba (cfr. sotto).

Sobri analisti come il gen. Harald Kujat, ex capo di stato maggiore delle FFAA tedesche, hanno auspicato che la NATO ripristini le linee di comunicazione con i leader russi, e che il Presidente Obama stabilisca un dialogo personale con Putin ed eserciti pressioni su Porošenko. Per quanto riguarda il presunto espansionismo militare di Mosca, Kujat ha spesso sottolineato che se i russi decidessero di intervenire, il conflitto nell’est sarebbe deciso in quarantott’ore e Kiev potrebbe essere occupata entro cinque o sei giorni.