Come previsto, i sostenitori del Green New Deal hanno fatto salti mortali per convincere l’opinione pubblica che il fallimento delle energie “rinnovabili”, come i parchi eolici e il fotovoltaico, avrebbe poco a che fare con il quasi collasso della rete elettrica del Texas iniziato il 14 febbraio, quando un vortice polare ha scaricato una potente tempesta invernale sullo stato. Ebbene si sbagliano, come dimostrano le cifre rese pubbliche dall’operatore della rete, l’Electric Reliability Council of Texas (ERCOT).
Il totale dei megawattora (MWh) di elettricità prodotta dall’eolico, che fornisce in media quasi un quarto dell’elettricità prodotta in Texas, è spesso poco consistente, ma è sceso drasticamente dai più di 8.000 MWh a livello statale del 14, ai 649 MWh della mattina del 15, quando le turbine eoliche si sono letteralmente congelate. Secondo un portavoce dell’ERCOT, la rete era “a pochi secondi o minuti” da un guasto catastrofico e un blackout completo, se non ci fossero state delle interruzioni controllate, alcune delle quali sono durate più di 48 ore. Più di quattro milioni di utenti sono rimasti senza corrente elettrica e, giorni dopo, quasi la metà delle contee del Texas aveva ancora problemi con le forniture idriche, a causa della perdita di corrente negli impianti di trattamento dell’acqua.
Benché il Texas sia uno degli stati più ricchi di petrolio e gas del mondo, nel 2005 è stata approvata una legge che impone un aumento della quota di energia eolica. Il passaggio dall’“oro nero” (il petrolio) all’eolico è stato promosso dal leggendario petroliere T. Boone Pickens (che credeva che il Texas avrebbe presto esaurito il petrolio), in tandem con i fanatici lobbisti “ambientali” anti-crescita, ed è stato facilitato dal credito a buon mercato fornito dagli interessi finanziari, che speravano di trarre profitto dall’emergente bolla “verde”. Sotto la pressione dell’iniziativa Beyond Coal di Michael Bloomberg – in cui l’ex sindaco di New York ha personalmente versato 500 milioni di dollari – tre grandi centrali a carbone sono state chiuse negli ultimi anni, eliminando 1.800 Mwh e aumentando la dipendenza dall’energia eolica e solare.
Ma il fallimento delle inefficienti e inaffidabili rinnovabili non è tutta la storia. A partire dal 2002, il Parlamento dello stato ha introdotto una completa deregolamentazione nella produzione di elettricità, al fine di “aumentare la concorrenza”. Come risultato, il Texas è stato invaso da compagnie di distribuzione che promettevano ai clienti tariffe elettriche più convenienti. Per ottenere un profitto, queste aziende hanno tagliato i costi senza investire in sistemi aggiornati, né nella manutenzione ordinaria, come l’adeguazione invernale delle reti privatizzate, il che spiega perché la produzione di elettricità è calata anche negli impianti che bruciano carbone e gas naturale. Sotto lo stress del freddo estremo, il sistema ha ceduto e ci sono stati dei morti.
Da notare che tre dei quattro impianti nucleari del Texas hanno continuato a operare al 100% tutto il tempo. Il reattore che si è fermato il 15 febbraio, a causa di un guasto ai sensori di pressione delle linee alle pompe, è stato nel frattempo riattivato e ha raggiunto il 14% di potenza nel pomeriggio del 17. Questo per smentire le fake news nei media secondo cui “si sono fermate anche le centrali nucleari”.
Mentre il fallimento delle “rinnovabili” è stato stigmatizzato da personalità come l’ex segretario all’energia degli Stati Uniti Rick Perry – già governatore del Texas – e l’attuale governatore del Texas Gregg Abbott, pochi hanno indicato il contributo significativo al disastro dato dalla privatizzazione e dalla deregolamentazione. L’empia fusione tra l’ideologia verde e la politica neoliberista, che caratterizza i pericolosi piani dei miliardari di Davos – il Grande Reset (finanziario) e i Green Deal – è stata progettata per creare mega-profitti per le società del cartello energetico e i loro finanziatori, e mette in pericolo la vita della gente che dipende da loro per l’energia.