Una parte della conferenza dello Schiller Institute del 4 febbraio è stata dedicata allo sviluppo dell’Africa, e in particolare alla cooperazione con la Cina (https://schillerinstitute.com/blog/2023/02/03/).
Uno dei relatori è stato Elison Karuhanga, avvocato specialista in energia, che ha illustrato “il progetto petrolifero e di indipendenza energetica dell’Uganda”. Il suo paese ha scoperto giacimenti petroliferi per circa 6,5 miliardi di barili, che intende sfruttare pienamente nonostante le pressioni esercitate dall’Occidente nel nome della lotta ai cosiddetti cambiamenti climatici.
Gli ugandesi sono certamente sensibili al clima, ha spiegato, “ma siamo anche preoccupati, profondamente, degli effetti della povertà oggi”. Viene detto loro che il mondo ha bisogno di abbandonare i combustibili fossili e bloccare i nuovi investimenti in petrolio e gas, il che li renderà molto costosi. Poi, continua l’argomentazione, “il mondo sarà costretto a passare alle rinnovabili, una volta che le alternative ai fossili saranno rese convenienti con tutti i metodi a cui può ricorre l’ingegno umano”.
“Tutto ciò è bello e buono dal punto di vista dell’attivista in una capitale europea, in un paese ricco e sviluppato. Ma che significa concretamente? Abbiamo ora imparato che un alto prezzo del petrolio non fa male alle imprese petrolifere. Il 2022 ha visto un aumento del prezzo del petrolio e i profitti dei giganti petroliferi salire a livelli record. Gli unici a pagare per questa transizione saranno i poveri. E da questa parte del mondo – in Africa e in Uganda – abbiamo già dato. Ci siamo sacrificati abbastanza. Abbiamo fatto da cavia troppo a lungo, non possiamo continuare a pagare per queste transizioni. Non possiamo, qui da noi, continuare a transitare dall’oscurità a più oscurità, in una notte già senza stelle, per citare un grande americano” (Martin Luther King, ndr).
Se non saranno permessi nuovi progetti petroliferi, la Norvegia continuerà a produrre 2 milioni di barili al giorno, l’Arabia Saudita 10 milioni e gli Stati Uniti a consumarne 20 milioni al giorno, mentre a paesi come Uganda e Mozambico sarà impedito di produrre. Per Karuhanga e per molti africani, finché non ci saranno alternative convenienti, “dobbiamo continuare ad alimentare il mondo con i combustibili fossili. E in Africa, siamo stanchi di non essere alimentati”.
Ecco perché l’Uganda ha deciso: “Che venga il freddo o il caldo, svilupperemo i nostri progetti energetici” per conseguire l’indipendenza. Per ora si parla di un oleodotto per l’export di petrolio e di una raffineria. “Dobbiamo sia proteggere l’ambiente che sconfiggere la povertà”. E quanto a “coloro che vivono nel comfort di meravigliosi palazzi, di piscine riscaldate e magnifiche magioni, coloro che volano con jet privati e impartiscono lezioni moralizzanti, siamo felici di ascoltarne le idee, ma francamente, oggi non ci va di seguirli. Li abbiamo ascoltati troppo a lungo”.
“C’è una marea di gente che ci dice di seguire l’Occidente e coloro che fanno la transizione. Ma penso che sarebbe ridicolo per noi ricevere lezioni sui nostri 200 mila barili di petrolio al giorno da gente che ne consuma 20 milioni e che vorrebbe che noi pagassimo per questa transizione, quando contribuiamo solo allo 0,003% delle emissioni globali di gas serra”.