Mi chiamo Ramasimong Phillip Tsokolibane e sono il responsabile del movimento di Lyndon LaRouche nella Repubblica Sudafricana. Formulo questo appello non come cittadino del mio Paese, ma come portavoce di tutti coloro, in Africa, che stanno patendo la fame o che rischiano di patirla, e non hanno nessuno che parli in loro vece.

In questo momento molti milioni di miei concittadini africani stanno patendo la fame, per una combinazione di cause volute: il sottosviluppo del mio continente, che il potere neocoloniale dell’Impero Britannico ha imposto deliberatamente tramite i suoi strumenti finanziari, la City di Londra e Wall Street; la pandemia globale; la piaga delle locuste; altri disastri naturali che condizionano la produzione di cibo sul continente. Adottando un linguaggio tecnico, essi si trovano nella “Fase 4”, quella della “emergenza” nella scala della cosiddetta “insicurezza alimentare acuta” (vedi http://www.ipcinfo.org/ipcinfo-website/ipc-overview-and-classification-system/ipc-acute-food-insecurity-classification/en/), a un passo dalla “Fase 5”, della catastrofe e della carestia. Mettendo da parte il galateo della fame, stanno già soffrendo la fame, mentre altri milioni le soffriranno a breve, a meno che del cibo sia loro reso disponibile, rapidamente.

“L’umanità sta affrontando la più grave crisi cui possiamo aver assistito. È giunto il momento nel quale i più abbienti facciano un passo, per aiutare i meno abbienti”. Così si è espresso il 17 settembre scorso David Beasley, direttore esecutivo del Programma Alimentare Mondiale dell’ONU, scrivendo che trenta milioni di persone rischiano di morire di fame, per lo più in Africa.

Voglio sottolineare che non si tratta di un evento futuro, poiché sta già accadendo. Se non verrà fatto qualcosa, e presto, milioni e milioni di persone moriranno nelle prossime settimane o nei prossimi mesi. Questo è l’avvertimento di David Beasley, che segue il suo discorso di aprile davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, riguardante il rischio che possano morire trecentomila persone al giorno.

Mentre numerose organizzazioni caritatevoli o simili hanno lanciato l’allarme e chiesto denaro, la questione che ci interessa, se vogliamo salvare vite umane, è come assicurare grandi quantità di cibo in tempi brevissimi a popoli affamati e colpiti dalla carestia. Considerati lo stato [carente] delle infrastrutture continentali e la localizzazione in regioni rurali e isolate della penuria di cibo, la scala della distribuzione di dei soccorsi alimentari supera i mezzi a disposizione dei singoli governi e degli enti caritatevoli o di assistenza.

Credo che dovremmo esprimere la capacità logistica delle forze militari più efficienti al mondo e progettare una strategia di forniture alimentari a partire dalle nazioni sono più produttive (Stati Uniti e Canada) fino a quelle che più sono bisognose. Dovremmo unire le forze sia di alleati sia di avversari, in funzione di questo massimo sforzo umanitario. Nella sua recente lettera encliclica, Fratelli Tutti, Sua Santità Papa Francesco ha scritto che è giunto il momento nel quale l’umanità abbandoni l’idea della guerra giustificabile, ovvero di qualunque guerra che sacrifichi vite umane. Questa proposta è una guerra, sì, ma più precisamente è un battaglia internazionale per salvare ciò che vi è di più sacro: vite umane.

Mi rivolgo al Presidente Americano Donald Trump:

Si assuma l’onere di questa sfida, offrendo agli agricoltori americani la missione di produrre cibo per soccorrere gli affamati e adoperando le vaste risorse dell’esercito statunitense in chiave misericordiosa, per raggiungere chiunque ne abbia bisogno sul mio continente. Lo faccia con lo spirito della Sua graziosa moglie Melania, la quale promise di aiutare in qualunque modo l’Africa, e in particolare i suoi figli, allorché visitò il continente nell’ottobre 2018. I passi da compiere possono essere compiuti quali necessarie azioni d’emergenza.

Vi sono ragioni sufficienti per indire una conferenza tra le grandi potenze, facendo eco all’appello della magnifica Sig.ra Helga Zepp-LaRouche, presidente dello Schiller Institute.

Possiamo salvare vite, ma soltanto con uno sforzo internazionale mirato. Gli Stati Uniti lo fecero, una volta: mi ricordano che soccorsero i popoli europei affamati, appena usciti dalla seconda guerra mondiale, mobilitando il nobile e buon popolo americano per spedire cibo e materiale di soccorso.

Le mie sorelle africane e i miei fratelli africani possono essere salvati, se vi è la volontà e se i popoli si vedono capaci di agire nello spirito della carità (agapē), al di sopra delle piccolezze che li distinguono e in funzione del bene e di grandi imprese.