È pratica comune che leader di governo e di istituzioni uscenti si astengano dal prendere decisioni dalle gravi conseguenze a lungo termine. Ma la Commissione UE uscente fa esattamente l’opposto. Con l’Italia ha chiesto l’avvio di una procedura d’infrazione sul debito finora non mai applicata e che, se approvata, applicherebbe un meccanismo infernale di ispezioni e controlli trimestrali. Quindi se l’è presa anche con la Svizzera.

Il 19 giugno, il vicepresidente della Commissione Maroš Šefčovič ha minacciato il governo svizzero che, in mancanza di una ratifica dell’accordo quadro con l’UE, Bruxelles non rinnoverà il cosiddetto accordo di “equivalenza borsistica” in scadenza alla fine di giugno. Berna ha rinviato la ratifica e chiesto chiarimenti su tre questioni: protezione dei salari, aiuti di stato e diritti dei cittadini. I legislatori svizzeri sono preoccupati perché l’adeguamento alle regole dell’UE minaccia la fine del regime di alti salari che caratterizza la Federazione Elvetica, vogliono che sugli aiuti di stato si resti alle regole dell’Accordo di Libero Scambio e vuole mantenere il controllo delle frontiere. Nonostante la quota di stranieri residenti in Svizzera sia molto alta, immigrazione e residenza sono strettamente regolati e filtrati.

La minaccia della Commissione di non rinnovare l’accordo di “equivalenza” è stata vista dal governo svizzero come un inaccettabile ricatto. Essa ha avuto l’effetto contrario, quello cioè di vanificare le prospettive di accordo. La cosiddetta “equivalenza” stabilisce che le regole di borsa svizzere e dell’UE siano equivalenti, permettendo così ai trader europei di operare sul mercato azionario svizzero. La minaccia è comunque vuota. Il danno per l’economia svizzera risultante dalla fine dell’accordo è tollerabile – anzi, riducendo il volume degli scambi sgonfierebbe anche la bolla – soprattutto se soppesato con l’umiliazione politica di una capitolazione al ricatto. È anche evidente la discriminazione, perché Paesi terzi come gli Stati Uniti o l’Australia conclusero ai loro tempi accordi di equivalenza illimitati. Così, il 21 giugno il portavoce del governo svizzero Andrè Simonazzi ha dichiarato che Berna potrebbe rispondere vietando il trading di azioni svizzere sui mercati azionari dell’UE.

La Commissione ha commesso un grosso errore. Avrebbe potuto prolungare l’accordo per altri tre mesi, aspettando l’insediamento dei prossimi commissari, ma ha voluto darsi la zappa sui piedi.