Venerdì 25 luglio è avvenuta una svolta strategica. La Camera dei Rappresentanti USA ha approvato a grande maggioranza la Risoluzione 105, presentata da Jim McGovern, Barbara Lee e Walter Jones, che riafferma il ruolo costituzionalmente riservato al Congresso di autorizzare e dichiarare la guerra. Nella fattispecie, in riferimento alla situazione in Iraq. La Risoluzione afferma: “Il Presidente non dispiegherà o manterrà le Forze Armate degli Stati Uniti in un ruolo di combattimento prolungato in Iraq senza specifica autorizzazione statutoria del Congresso”.

Dopo un dibattito durato un’ora, la risoluzione è passata con 370 voti contro 40. Tra i favorevoli, 180 erano repubblicani e 190 democratici. Come ha dichiarato uno dei firmatari, Jim McGovern, “con questa risoluzione, il Congresso ha iniziato a ristabilire il suo giusto ruolo secondo l’Articolo 1 della Costituzione. Non si tratta di un tema di partito, ma di una questione istituzionale”.

Il significato della risoluzione va ben al di là della questione irachena o del War Powers Act. Si tratta di una rottura completa con la politica della “presidenza unitaria” inaugurata dall’amministrazione Bush/Cheney e proseguita con Barack Obama. Il voto riflette la fine del consenso istituzionale sull’agenda strategica ed economica della Casa Bianca.

“È ovvio che c’è una perdita di risorse da parte della comunità transatlantica, che non è stata ancora fatta affiorare”, ha commentato Lyndon LaRouche in una discussione con i collaboratori il 26 luglio. Si moltiplicano le voci che tracciano i paralleli tra la situazione odierna e la vigilia della Prima Guerra Mondiale. La politica anglo-americana di scontro strategico con la Russia, dettata dall’esigenza di conquista di “spazio vitale” per il sistema finanziario in via di collasso, sta spingendo il mondo verso lo scontro nucleare. Allo stesso tempo, l’assalto finanzario contro l’Argentina e le sanzioni contro Mosca potrebbero anticipare il collasso.

“La situazione è tale per cui la frode internazionale dei governi ha raggiunto il punto che non permette di mascherarla ulteriormente. Perciò, la direzione in cui andare è quella di una politica che decida come definire il nostro sistema finanziario”, ha sostenuto LaRouche. “Perciò, dobbiamo cambiare la politica completamente. Dovremo semplicemente cancellare un bel po’ di spazzatura”, ha detto LaRouche, riferendosi all’urgenza di spingere per la riforma Glass-Steagall (vedi “LaRouche chiede una battaglia senza risparmio di colpi per la legge Glass-Steagall”).
Uno sguardo al quadro strategico mostra i disastri internazionali intenzionalmente creati dalla politica estera e di sicurezza di Bush/Obama: dalla Siria all’Ucraina, dall’Iraq alla Libia le forze radicali finanziate e armate dal complesso anglo-saudita e sostenute dal governo americano hanno distrutto nazioni e creato caos e distruzione.

Questa crisi può essere risolta solo andando alla radice del problema: denunciare e neutralizzare l’operazione anglo-saudita. E soprattutto, applicare la sanzione più temuta dalla City di Londra e da Wall Street: distruzione di massa del sistema finanziario speculativo per mezzo della riforma Glass-Steagall. Gli Stati Uniti devono guidare il mondo transatlantico su un patto di crescita e cooperazione pacifica con il sistema dei BRICS appena inaugurato.
Tuttavia, il Presidente Obama non lo farà. La Presidenza Obama è parte dell’operazione di Wall Street e di Londra e questo è il motivo per cui Obama se ne deve andare, ha ripetuto LaRouche.

Obama ha impedito che si facesse luce su episodi come quello di Bengasi (cfr. EIR Strategic Alert 27/14) o le 28 pagine segretate del rapporto parlamentare sull’undici settembre, che getterebbero luce sulle operazioni anglo-saudite. La scorsa settimana a Washington, persino il primo ministro della Sicurezza Interna di Bush, Tom Ridge, ha chiesto che vengano pubblicate quelle pagine. Sia il dossier su Bengasi che quello sulle 28 pagine potrebbero portare all’impeachment del Presidente.