Dal 2008, cioè dallo scoppio della crisi finanziaria globale, le banche centrali pompano liquidità nel sistema per salvare le megabanche e i loro veicoli speculativi, ricattando i governi con l’argomentazione che, se queste falliscono, evaporano i conti e i risparmi delle famiglie e delle imprese. Così sono stati riversati nel sistema cifre incredibili (si parla di milioni di miliardi) di cui ben poco (praticamente zero) è andato all’economia reale. La liquidità è andata a gonfiare sempre più la bolla speculativa globale.
Mentre è chiaro che il sistema è insostenibile, la soluzione è a portata di mano: ribaltare la direttiva statunitense 649/CE che, nel dicembre 1989, demoliva la muraglia cinese tra banche d’affari e banche commerciali, stabilendo che gli enti creditizi, definiti come “un’impresa la cui attività consiste nel ricevere depositi, o altri fondi rimborsabili, dal pubblico e nel concedere crediti per proprio conto”, fossero autorizzati a imperversare nel campo della speculazione, con prodotti derivati, scommesse a termine, ecc. Ripristinando quella divisione si spunterebbe l’arma del ricatto “Too Big To Fail” e si limiterebbe l’uso dei fondi pubblici all’esclusiva protezione del risparmio e del credito produttivo.
Sarebbe bello, ma ciò presuppone che la cosa pubblica sia in mano a persone competenti e disposte a cambiare il paradigma se quello vigente si dimostra pernicioso per il bene comune. Non è il caso del Consiglio Europeo, che ha ancora una volta votato a favore dell’oligarchia finanziaria approvando, il 30 novembre, la riforma del Meccanismo di Stabilità Europeo, o MES. Nell’occhio del ciclone Covid e del dibattito sui fondi MES per la Sanità, ci si è dimenticati di questa riforma che, invece di correggere gli errori dell’impianto originale, ne aggiunge di altri, facendone un mostro di iniquità ancor maggiore. Se infatti finora il MES era servito a salvare le banche creditrici di paesi come la Grecia, passando come “salvastato”, ora questa foglia di fico è caduta e il MES è diventato ufficialmente il “backstop” per il fondo di risoluzione bancaria SRF. Questo significa che quando salterà la prossima megabanca (vogliamo scommettere? Non in Italia), se i fondi raccolti dalle banche private nel SRF non basteranno (e non basteranno), e dopo aver confiscato i risparmi con il bail-in, entra in azione il MES con i suoi 700 miliardi, dei quali 125 sono stati sottoscritti dall’Italia. Questa ne ha già versati quattordici, ma il MES può ordinare di versare il resto entro una settimana, in caso di intervento. Tutto questo, nell’ambito di un trattato che mantiene le condizioni brutali e incompetenti di austerità per gli Stati membri che il MES fosse chiamato a “soccorrere”.
Mentre viene approntato il MES come rete di salvataggio per le banche, il colpo definitivo al credito commerciale potrebbe venire da un’altra operazione che bolle in pentola a livello di banche centrali: l’introduzione della moneta digitale. Stiamo parlando non di Bitcoin o simili, ma della digitalizzazione della moneta delle banche centrali. L’idea è giungere in un futuro non troppo lontano all’eliminazione del denaro fisico, banconote e monete. Mentre la digitalizzazione del denaro offre degli indubbi vantaggi in termini di velocità dei pagamenti e dei trasferimenti, l’intento non troppo nascosto è quello di avere il controllo totale sull’emissione e la distribuzione del denaro, allo scopo di generare inflazione e avocare alle banche centrali la politica fiscale e commerciale.
Nell’ambito delle discussioni sulla Moneta Digitale delle Banche Centrali (CBDC) vi è la consapevolezza di questo “cambiamento di regime” e, mentre una fazione preme sull’acceleratore, c’è chi è preoccupato. La fazione che fa capo alla banca centrale tedesca (Bundesbank) vorrebbe mettere dei paletti alla CBDC in modo da preservare le funzioni di raccolta e credito delle banche commerciali, mentre la fazione che fa capo alla City di Londra vorrebbe che le banche commerciali, ora commiste alle banche d’affari, sparissero del tutto.
Parlando alla conferenza virtuale “Il futuro dei pagamenti in Europa” il 27 novembre, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha affermato che “ci sono serie preoccupazioni per le potenziali ramificazioni della CBDC nel sistema finanziario. Se fosse più attraente possedere l’euro digitale al posto dei depositi bancari, i consumatori sposterebbero gradualmente i propri fondi nella banca centrale. Gli economisti chiamano ciò ‘disintermediazione strutturale bancaria’. Oltre ai depositi, le banche perderebbero una fonte conveniente di finanziamento e dovrebbero sempre più fare affidamento su obbligazioni o sul credito della banca centrale. Non è chiaro a priori che cosa questo comporterebbe per la provvista di credito delle banche centrali all’economia, dipendendo questa da vari fattori. Tuttavia, il ruolo tradizionale delle banche nel sistema finanziario potrebbe trasformarsi”. Weidmann ha concluso che una CBDC non dovrebbe sostituire completamente il denaro fisico, ma dovrebbe essere un’opzione tra le altre offerte al consumatore.
Contrariamente a tali preoccupazioni, un articolo non firmato pubblicato il 5 dicembre sul The Economist, dal titolo “Le Monete Digitali delle Banche Centrali Distruggeranno il Sistema Bancario? Forse, ma Potrebbe Non Essere Così Male”, caldeggia la prospettiva di una CBDC che introduca un cambiamento di regime nel sistema finanziario. “Le banche non sono necessarie per elargire e contrarre prestiti – in America, un’ingente quota di quest’attività avviene invece nel mercato dei capitali. Se si vuole che il credito bancario continui, i governi potrebbero sussidiarlo direttamente, rendendo esplicito ciò che l’attuale architettura cela”.
Gli statalisti a prescindere non esultino: l’uso del termine “governi” qui è fuorviante, perché le banche centrali intendono prendere in mano la politica fiscale nell’ambito del Great Reset. Saranno loro a decidere dove andranno i flussi finanziari e indovinate con quali criteri…

Pubblichiamo a proposito del MES una dichiarazione di Liliana Gorini, presidente di Movisol (foto)