Le élite europee si sono tuffate a capofitto in una modalità economica di tipo schachtiano, ma non hanno ancora deciso chi sarà il loro “Hjalmar Schacht”, se Ursula von der Leyen o Mario Draghi.
Al congresso del 7 marzo a Bucarest, il Partito Popolare Europeo ha candidato Ursula von der Leyen per un secondo mandato alla presidenza della Commissione Europea. Tuttavia, quasi un delegato su cinque non ha votato per lei. Subito dopo, è emersa un’opposizione alla candidatura di von der Leyen nelle file dello stesso PPE e dei suoi alleati al Parlamento europeo.
Il commissario al Mercato interno, il francese Thierry Breton, e il ministro tedesco delle Finanze Christian Lindner hanno entrambi criticato la scelta. Dall’Italia, anche l’ala più conservatrice di Forza Italia (partito membro del PPE), ha espresso le sue perplessità.
Breton, che è considerato molto vicino al presidente francese Emmanuel Macron, ha dichiarato: “Nonostante le sue qualità, Ursula von der Leyen è stata messa in minoranza dal suo stesso partito. La vera domanda ora è se sia possibile affidare nuovamente la gestione dell’Europa al PPE per altri 5 anni, cioè 25 anni consecutivi. Lo stesso PPE sembra non credere nella sua candidatura” (https://twitter.com/ThierryBreton/status/1765855197903880395).
Il 6 marzo, Lindner ha attaccato UvdL: “È l’eredità di Ursula von der Leyen il fatto che abbiamo la regolamentazione invece dell’innovazione”, ha dichiarato Lindner all’Handelsblatt. “Abbiamo bisogno di un cambio di rotta. La politica della Von der Leyen mette a rischio la nostra competitività e la nostra prosperità economica” (https://www.handelsblatt.com/politik/deutschland/christian-lindner-im-interview-die-politik-von-der-leyens-gefaehrdet-unsere-wettbewerbsfaehigkeit/100018574.html).
In Italia, la vicepresidente del Senato Licia Ronzulli, del partito Forza Italia, ha dichiarato: “Sull’elezione della von der Leyen probabilmente il Ppe poteva avere più coraggio nella scelta o nel cambio del capo della commissione”. La Ronzulli ha comunque ricordato che gli spitzenkandidaten del PPE fanno una brutta fine, come capitò a Manfred Weber che, a bocce ferme, fu sostituito proprio dalla von der Leyen, per volontà di Macron (https://www.agenzianova.com/a/65eeff9c80ec85.30414533/5087796/2024-03-11/ue-ronzulli-fi-per-von-der-leyen-banco-di-prova-dopo-elezioni).
Dal punto di vista delle élite europee non ci sono molti personaggi alternativi alla von der Leyen; anzi, ce n’è uno solo, che è già entrato in corsa: Mario Draghi. Negli ultimi mesi, infatti, c’è stato uno sforzo concertato dall’alto per fabbricare per Draghi un’immagine che si adattasse al meglio al ruolo del nuovo Hjalmar Schacht. Lo scorso settembre, Draghi è stato nominato a capo di una task force per indagare sulla perdita di “competitività” dell’UE e presentare soluzioni, il che lo ha messo sul piedistallo giusto per dettare le future politiche economiche.
Come abbiamo già scritto, Draghi ha presentato la propria ricetta al Consiglio dell’UE e al Parlamento europeo: l’UE dovrebbe investire 500 miliardi di euro all’anno nella cosiddetta “transizione verde”, oltre ad aumentare le spese per la difesa e gli “investimenti produttivi”. Per lasciare una parvenza di scelta democratica, ha detto che i leader dell’UE devono decidere come finanziare tutto ciò, se con misure fiscali o attraverso gli Eurobond.
Non è un mistero, tuttavia, che la preferenza di Draghi cada sugli Eurobond, ovvero l’emissione di debito comune europeo, perché col debito comune, che via via soppianterebbe quelli nazionali, si costruisce il superstato sovrannazionale. Qualunque sia la soluzione adottata, i suoi sponsor dicono esplicitamente che occorre finanziare l’“economia di guerra”. All’inizio di gennaio, Thierry Breton – lo stesso che ha rifiutato un secondo mandato alla von der Leyen – ha proposto un fondo da 100 miliardi di euro per le spese della difesa. Il 4 marzo, presentando la sua proposta ai media, ha dichiarato: “Dobbiamo cambiare il paradigma e passare alla modalità da economia di guerra”, sottolineando che “alcuni Capi di Stato stanno iniziando a parlarne molto chiaramente: è un’idea proposta dal presidente francese Emmanuel Macron e dal primo ministro estone Kaja Kallas, sostenuta anche dal primo ministro belga De Croo”.