Due sono le misure urgenti che dovrebbero essere adottate per evitare una catastrofe sociale ed economica: eliminare il cosiddetto “prezzo marginale” che determina il prezzo dell’elettricità in tutti i mercati nazionali, e sospendere l’infausto mercato della CO2.
Il sistema del prezzo marginale è stato inventato in Inghilterra per sovvenzionare le energie cosiddette rinnovabili. Funziona così: una volta stabilita la domanda per quel giorno, i produttori dicono quanto possono fornire e a che prezzo. Quando la domanda è soddisfatta, tutta l’elettricità è venduta al prezzo di offerta più alto. Così, se il primo produttore offre elettricità da fonte idroelettrica a 10 euro, mentre l’ultimo elettricità da gas a 100 euro, entrambi vengono pagati 100 euro. Ciò spiega perché in Paesi come la Francia, dove gran parte dell’elettricità è di fonte nucleare, il prezzo è alto come negli altri Paesi europei che bruciano gas o carbone.
Il prezzo di gas e carbone è a sua volta determinato da tre fattori principali: l’offerta, la speculazione e il mercato della CO2, o European Trading System (ETS). Aumentare l’offerta senza intervenire sulla speculazione e sull’ETS non servirà a ricondurre il prezzo a livelli ragionevoli. I certificati di emissione vengono scambiati come se fossero delle merci vere e proprie, o meglio, si scambiano i loro derivati finanziari. Quando quest’anno l’UE ha abbassato la quota delle emissioni, ciò ha spinto in alto prima il prezzo del carbone e poi quello del gas. Il meccanismo speculativo ha trasformato un “normale” aumento dei prezzi in una spirale iperinflazionistica.
Il valore dei certificati di emissione è aumentato del 350% dal maggio scorso, e del 22% solamente nel mese di novembre, più di ogni altra “merce”, secondo un articolo pubblicato su ZeroHedge il 2 dicembre. Questo ha, tra l’altro, fatto perdere ogni margine di guadagno alle raffinerie di idrocarburi perché l’aumento dei prodotti al consumatore non basta a compensare quello dei certificati ETS, che è aumentato più velocemente. Per azzerare le perdite, le raffinerie sono costrette ad aumentare maggiormente il prezzo dei derivati del petrolio, con la conseguenza dell’aumento del prezzo delle merci e dei prodotti di tutti i settori che usano carburanti fossili.
Allo scoppio della crisi finanziaria del 2008, le élite transatlantiche non hanno esitato a gettare dalla finestra l’ideologia neo-liberista e varare il più grande intervento pubblico della storia, con salvataggi bancari che hanno totalizzato, se si sommano tutti i rifinanziamenti, oltre 22 mila miliardi di dollari. Ora si rifiutano di farlo per salvare le famiglie e i settori produttivi.