di Liliana Gorini, presidente di Movisol

Dopo anni di prime della Scala rovinate dalle distruttive regie moderne, tra cui un Don Giovanni di Mozart fatto a pezzi da un incompetente regista inglese che ha perfino cambiato il finale dell’opera, il 7 dicembre La Scala di Milano è finalmente tornata a rispettare le intenzioni del compositore, mettendo in scena un’edizione del Don Carlo di Verdi all’insegna del sublime di Schiller.
Bravissimi i cantanti, con Michele Pertusi nel ruolo di re Filippo II, che con grande coraggio ha affrontato il terzo e quarto atto nonostante il mal di gola, ed è stato molto applaudito dal pubblico, ed una grandissima Anna Netrebko nel ruolo di Elisabetta di Valois. Anche l’orchestra del Maestro Riccardo Chailly ha dato il meglio di sè, mettendo in luce l’orchestrazione quasi contrappuntistica e beethoveniana dell’opera di Verdi.
Ascoltando l’opera risultano evidenti i paralleli con la situazione odierna.
Immaginate una situazione in cui la Spagna imperiale è in una crisi gravissima, altamente indebitata con le banche genovesi e con i Fugger, impone sacrifici pesantissimi alla sua popolazione per ripagare questo debito, sfrutta la regione industrialmente più produttiva, le Fiandre, dove si concentrano l’industria tessile ed i cantieri navali, e soffoca nel sangue la ribellione del popolo delle Fiandre, istigata dall’Inquisizione spagnola. In questa situazione il marchese di Posa parla col re e lo invita a cambiare politica. I paralleli tra il Don Carlo di Schiller e Verdi e la situazione attuale sono evidenti. La grande tragedia classica narra non soltanto della crisi e del fallimento degli eroi, ma dell’intera società, che potrebbe uscire dalla crisi e sceglie di non farlo. E’ quanto afferma Schiller quando dice “un grande momento storico ha trovato persone piccole”.
Pensiamo al duetto tra il marchese di Posa e Filippo, in cui con grande coraggio il marchese di Posa esclama “orrenda, orrenda pace, la pace dei sepolcri!”. Non possiamo non pensare all’Ucraina, in cui la NATO e Zelensky sono decisi a proseguire una guerra senza senso contro la Russia “fino a quando non sarà morto l’ultimo ucraino”, oppure a Gaza, dove un folle Netanyhau, inviso alla sua stessa popolazione esattamente come re Filippo, conduce una strage di innocenti a Gaza dopo aver finanziato Hamas allo scopo di poter radere al suolo Gaza, ed Europa e Stati Uniti non solo non lo fermano, ma lo incoraggiano.
Schiller scrisse dodici lettere sul Don Carlos, per rispondere ad un amico che definiva “troppo idealista” il suo personaggio, il marchese di Posa. Nel 2008 tradussi queste 12 lettere per una presentazione su Schiller, Verdi e il Don Carlo, e ne pubblico qui alcuni stralci perché fanno capire il processo creativo di Schiller e perché i suoi personaggi, e le sue tragedie, rese ancor più possenti dalla musica di Verdi, ci insegnino a creare “un mondo migliore” come dicono Don Carlo ed Elisabetta di Valois nel loro duetto dell’ultimo atto.

Friedrich Schiller

LETTERE SUL DON CARLOS

Seconda lettera

Dica lei stesso, amico mio – dove meglio poteva nascere l’ardito ideale di una repubblica di Uomini, della tolleranza e della libertà di coscienze, se non nelle vicinanze di Filippo II e della sua Inquisizione?

Due azioni del Marchese di Posa sono quelle da cui ho tratto spunto: il suo comportamento nei confronti del Re, nella scena X del III atto, e il suo sacrificio per il suo amico

Terza lettera

Anche lei, come la maggior parte dei miei lettori, ritiene che il mio scopo sia l’esaltante amicizia nel rapporto tra Don Carlo e il Marchese di Posa? (….) Il rapporto tra i due è una reminescenza dei loro primi anni accademici. Armonia dei sentimenti, lo stesso amore per il Grande e il Bello, lo stesso entusiasmo per la verità, la libertà e la virtù li aveva avvicinati allora. Un personaggio, come Posa, che si sviluppa come avviene nel corso della tragedia, doveva aver iniziato presto ad esercitare la sua viva sensibilità, che si sarebbe presto estesa a tutto il genere umano. Questo spirito creativo e appassionato doveva presto trovare un oggetto su cui agire, non se ne offriva uno migliore, se non il figlio di un re che si rivolge volontariamene a lui, sapendolo così sensibile ai suoi sentimenti? (…)

Carlos lo accoglie a braccia aperte, il giovane cittadino del mondo si inchina di fronte a lui. L’amore per la libertà e la nobiltà d’animo erano maturati in lui prima ancora dell’amicizia per Carlo. (…)

Ma ora che si ritrovano tutto è cambiato. Carlos giunge alla Corte di suo padre e Posa si getta nel mondo. (…) così sprofonda in uno stato di inoperosa Schwaermerei (esaltazione).

“Non ho nessuno – nessuno

in questa grande terra, nessuno;

fin dove giunge lo scettro di mio padre,

fin dove giungono le nostre navi,

non vi è alcun luogo, nessuno

in cui io possa piangere le mie lacrime”.

Ancor più sente il bisogno di simpatia, perché è solo e infelice.

Così lo ritrova l’amico quando torna dalle Fiandre.
A quest’ultimo le cose sono andate molto diversamente. (…) Ha trovato il modo di misurare l’ideale che ha portato con sé con le forze attive dell’intero genere umano. (…) In luogo di un solo individuo c’è per lui un’intera specie: da entusiasta inoperoso è diventato un uomo attivo capace di agire. Quei sogni e premonizioni che nel passato si aggiravano ancora oscuri nella sua anima, sono diventati chiari concetti, progetti di azione (…) Si trova ad affrontare la condizione delle Fiandre. Ivi trova tutto pronto ad una rivoluzione. (…) Il suo ideale di libertà repubblicana non potrebbe trovare momento più opportuno e terreno più fertile. (…) Egli pensa a se stesso come a un salvatore di nazioni oppresse, come strumento di un più alto disegno.

Carlo lo avvicina con ansia febbrile. Ma come gli risponde Posa?

“Non è così che mi aspettavo di trovare il figlio di Filippo –

Non è questo il giovane ardito e leonino

a cui mi manda un popolo oppresso di eroi –

Giacchè quello che vedi qui non è il Rodrigo

che giocava con Carlo da ragazzo

Un portavoce di tutto il genere umano

ti abbraccia – sono le province delle Fiandre

che piangono di fronte a te”.

(…) Compito dell’amico sarebbe stato quello di soffocare la passione (di Carlo per Elisabetta) e non di pensare alla sua soddisfazione. Posa, l’amministratore delle Fiandre, agisce molto diversamente. (…) Finchè l’amico indugerà in desideri irrealizzati, non sentirà il dolore di altri (…) Che altro può fare, se non utilizzare l’unica passione che brucia nell’animo dell’amico? Uno sguardo nel cuore della regina lo convince che può attendersi tutto dalla sua collaborazione. (…) perfino questo amore infelice viene trasformato in uno strumento importante e il destino delle Fiandre deve parlare al cuore del suo amico attraverso la bocca dell’amore.

Dalle mani della regina Carlos riceve le lettere che Posa portò per lui dalle Fiandre. La regina richiama in lui il genio volato via.

Ma tutte le speranze che Posa aveva riposto nell’amore di Carlos per la regina crollano quando prende il sopravvento un amore meno alto.

“O Carlo!

Quanto più povero sei diventato

da quando non ami nessuno, tranne te stesso!”

Quinta lettera

Rischia di cadere vittima del suo folle amore, della gelosia paterna, dell’odio dei preti, della brama di vendetta di un nemico offeso e di un’amante respinta. Bisogna liberare il principe da questo pericolo, strapparlo dal suo stato mentale, se si vuole realizzare il progetto di liberazione delle Fiandre. Ed è il marchese di Posa da cui ci attendiamo entrambe le cose, e che ci fa sperare. (…)

L’attenzione dello spettatore non deve dunque essere sviata prima del tempo,e per questo era necessario che l’azione principale, che in seguito diventerà determinante, si annunciasse solo da lontano, come da un angolo. La storia dell’amore di Carlos, essendo un’azione soltanto preparatoria, va in secondo piano, per far posto a quella che stava preparando. Ovvero vengono in primo piano i disegni segreti del marchese, che non sono altro che la liberazione delle Fiandre e il futuro destino della nazione. (…) In questo stato d’anima Posa attende il re.

Settima lettera

Posa sapeva bene quanto si sarebbe sentito abbandonato il suo amico Carlo perché il re l’aveva prescelto come confidente. (…) Nessuno comprende meglio di Filippo il rapporto tra i due amici.

“Per un ragazzo non muore certo un marchese di Posa.

La fiamma dell’amicizia non riempie il cuore di Posa.

Solo il genere umano. Egli guarda al mondo e

alle generazioni a venire”.

Ottava lettera

Indiscutibilmente, il personaggio del marchese di Posa avrebbe guadagnato in bellezza e purezza se avesse agito più rettamente e fosse rimasto al di sopra del mezzo poco nobile dell’intrigo. Ammetto che questo personaggio mi stava a cuore, ma ancor di più mi stava a cuore la verità. (…)

(anche il marchese si macchia) di Schwaermerei. Silenzioso, come quando non si vuole disturbare il sonno di un dormiente, vuole sciogliere il destino dell’amico, vuole salvarlo, come un Dio, e proprio agendo così lo condanna. (…)

L’impulso morale non si esprime naturalmente nel cuore umano, ma può esservi infuso con l’arte.

Ho scelto per questo un personaggio sublime, al di sopra di ogni brama egoistica, gli ho dato la massima attenzione per i diritti altrui, gli ho dato come scopo la ricerca della libertà per tutti, e non credo di essere in contraddizione con l’esperienza generale quando ho lasciato che, pur perseguendo questo scopo, andasse perduto nel dispotismo. Era esattamente il mio piano che restasse impigliato in questo cappio.

Dodicesima lettera

La regina, straziata dal suo dolore, lo accusa perfino di portare con sé da molto tempo questa decisione:

“Voi vi gettate in questo atto, che chiamate sublime.

Non mentite. Vi conosco.

Lo bramavate da tempo!”

Alla fine il marchese di Posa non si libera del tutto dalla Schwaermerei. Schwaermerei ed entusiasmo sono spesso così vicine, che è difficile distinguerle. (…)

Non riesce a riconsiderare la sua decisione con un altro stato d’animo, lo stato d’animo, ad esempio, in cui si trova quando lascia la regina “Oh” afferma “la vita è così bella!”. Ma fa questa scoperta troppo tardi. Si rinchiude nella grandezza del suo atto per non doversene pentire.