Da mesi ormai in Brasile è in corso contro la
Presidente Dilma Rousseff una rivoluzione colorata che punta ad
estrometterla con false accuse di corruzione. Per la terza volta quest’anno,
il 16 agosto, sono scesi in piazza mezzo milione di brasiliani, quasi tutti
manifestanti bianchi della classe media, in decine di città per chiedere le
dimissioni della Rousseff e la fine della “corruzione”.
I gruppi sui social media che hanno organizzato
le manifestazioni erano sostenuti dal partito liberista e filo-banche PSDB,
sconfitto dalla Rousseff alle ultime elezioni presidenziali dell’ottobre
2014. Per avere un sentore delle alternative “democratiche” che vengono
offerte, basti sapere che l’ex Presidente Fernando Henrique Cardoso, che
quando era al potere dal 1995 al 2003 consegnò il paese nelle mani dello
speculatore George Soros, ha partecipato alla manifestazione di São Paulo
con un’auto dotata di altoparlante da cui sbraitava contro l'”illegittimità”
del governo della Rousseff. Cardoso appartiene alla cricca di ex Presidenti
latino americani che insieme a Soros si battono da anni per la
legalizzazione degli stupefacenti. Aecio Neves, il “pretty boy” dei
banchieri britannici che si era candidato contro la Rousseff alle ultime
elezioni, ha dichiarato alla folla a Belo Horizonte che è pronto a far
cadere il governo.
Se andassero a segno i loro sforzi per scalzare la
Rousseff, si spalancherebbero le porte alla destabilizzazione di altri
governi del Sud America che si battono per lo sviluppo, e si indebolirebbe
il gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) a cui appartiene
il Brasile, che sarà costretto ad uscirne.
Una rivoluzione colorata è in corso anche in Ecuador,
dove il Presidente Rafael Correa è stato preso di mira dagli stessi elementi
del settore privato e del ceto medio che attaccano la Rousseff in Brasile,
insieme a grosse organizzazioni indigene che conducono le proteste di massa
contro di lui.
In Argentina, i tentativi di destabilizzazione si
concentrano sulle elezioni presidenziali del 25 ottobre, in cui la questione
centrale sarà se il prossimo Presidente continuerà la politica di crescita e
di sviluppo dell’attuale Presidente Cristina Fernández de Kirchner, o
soccomberà al ricatto dei fondi predatori e speculativi. La Fernández non
può candidarsi per un terzo mandato, e il suo successore designato, Daniel
Scioli, si è impegnato pubblicamente a proseguire la sua politica.
Ma aumentano le pressioni internazionali da parte
dell’establishment bancario, mentre i social media, che lavorano con
l’oligarchia finanziaria locale, sono mobilitati per seminare il caos, ed i
sindacati pianificano un’ondata di scioperi nelle settimane che precederanno
il voto. Il candidato dei fondi speculativi, Mauricio Macri, sostiene che
farà pace coi predatori finanziari, riportando l’Argentina al modello
liberista di deregulation, austerità, privatizzazioni ed aumento del debito
estero.