Mentre si moltiplicano i segni di un’imminente “recessione globale”, il consenso quasi unanime sui media è che la causa principale della crisi sarebbe nella “guerra commerciale” tra Cina e Stati Uniti o, detto in altri termini, nella tendenza imperiale cinese rappresentata dalla Iniziativa Belt and Road (BRI), unita all'”incompetenza” e “impulsività” di Trump. Invece di riconoscere la natura sistemica della crisi, questa analisi punta a proteggere gli assiomi neoliberisti della politica economica esistente, anche se tali assiomi si sono dimostrati pericolosamente fallimentari e al contempo una minaccia all’esistenza stessa della società.
Dovremmo prima di tutto liberarci dalla falsa spiegazione secondo la quale la Cina sarebbe responsabile dell’aumento del debito e avrebbe teso una “trappola del debito” alle nazioni che hanno aderito alla BRI. Di fatto, il debito della Cina è principalmente nella forma di credito destinato ad attività economiche fisiche, con enfasi sugli avanzamenti scientifici che producono nuove tecnologie e sulla costruzione di una piattaforma moderna di infrastrutture che migliorino la produzione globale e il commercio. Per i Paesi dell’Asia e dell’Africa nei quali la Cina investe non si tratta di una “trappola del debito” ma dell’attesa infusione di crediti che li liberi dalla condizione coloniale imposta loro dall’attuale sistema finanziario. Ironicamente, coloro che promuovono il concetto di “trappola del debito” ignorano le migliaia di miliardi di dollari di debito creati dal Quantitative Easing e via dicendo, per salvare gli istituti finanziari falliti, sostenere il valore nominale di titoli privi di valore reale e la politica di austerità imposta dal FMI e dalle banche centrali, che impedisce che il credito venga destinato a settori produttivi, conducendo a problemi di debito sistemico (vedi per esempio il caso dell’Argentina).
Inoltre, il calo della produzione manifatturiera nelle economie transatlantiche, che è la causa della crescita vicina allo zero e perfino della contrazione economica, come in Germania nel secondo trimestre, è stato dettato dalla politica del “mercato” che ha promosso la delocalizzazione verso economie dominate da forza lavoro a basso costo e ha costretto le capacità industriali rimanenti a produrre per l’esportazione. Ciò ha prodotto livelli sempre inferiori di potere d’acquisto per coloro che hanno perso il posto di lavoro nell’industria. Il risultato è che le famiglie che prima avevano salari decenti ora sono costrette a vivere indebitandosi.
Questa realtà non è stata imposta dalla Cina, ma dagli interessi finanziari che ruotano intorno alla City di Londra, a Wall Street e Bruxelles, che usano crediti a basso costo o a costo zero dalle banche centrali per speculare in derivati e in altri strumenti di “innovazione finanziaria”, o consentono alle grosse società di acquistare le proprie azioni. La bolla speculativa che ne deriva non è certo un segno di prosperità, ma il frutto marcio che cade dall’albero malato.
La soluzione è porre fine all’attuale sistema liberista e imperiale e alle sue bolle speculative, e costruire l’economia reale. A questo fine la prospettiva di sviluppo della Cina è parte della soluzione, non il problema. (Nella foto Helga Zepp-LaRouche, presidente dello Schiller Institute, Liliana Gorini, presidente di MoviSol, Claudio Celani dell’EIR e il sottosegretario Michele Geraci al convegno sulla Nuova Via della Seta tenuto da Movisol e Regione Lombardia a Milano lo scorso marzo).