Il 25 febbraio, Moody’s e Fitch hanno declassato il debito sovrano russo a “spazzatura” e Moody’s ha rincarato la dose il 6 marzo, portando il rating a livello C-a, il penultimo sulla scala. Il default sui 100 miliardi di dollari di debito estero della Russia è ora dato all’80% di probabilità. Era già noto che le agenzie di rating sono strumenti di guerra finanziaria (e l’Italia l’ha scoperto sulla propria pelle); con queste mosse svelano di voler mirare alla distruzione vera e propria dell’economia russa.
I centri del potere finanziario sono malvagi, ma non così stupidi da non capire che si verificherà un effetto boomerang sugli istituti finanziari occidentali che sono esposti verso Mosca, un colpo che potrebbe innescare una reazione a catena. “Ci troviamo in territorio sconosciuto”, ha dichiarato Clay Lowery, vicepresidente esecutivo dell’Institute of International Finance, l’organismo che riunisce le principali banche mondiali. “Sappiamo che ci saranno conseguenze che non possiamo prevedere”.
Come ha scritto il sito Wallstreetonparade il 7 marzo, “Sappiamo che ci sono 41 miliardi di dollari in Credit Default Swaps (CDS) sul debito russo. Probabilmente ce ne sono molti altri di cui non si conosce l’ammontare. Ci sono anche altri miliardi di CDS sul debito delle imprese di stato e delle imprese private.” In pentola bolle “il replay della crisi bancaria del 2008, quando le banche cessarono di prestarsi i soldi a vicenda perché non sapevano chi sarebbe stata la prossima vittima dell’esposizione verso i subprime. Questo portò ad una crisi di liquidità e alla discesa in campo senza precedenti della Federal Reserve, che segretamente pompò migliaia di miliardi di dollari nelle casse delle megabanche di Wall Street e delle loro controparti estere in derivati”.
Come abbiamo scritto la scorsa settimana, le banche centrali si stanno preparando a mettere in atto “whatever it takes” per salvare di nuovo il sistema, accantonando ogni proposito di uscire dal QE. Questo significa benzina sul fuoco dell’inflazione. Allo stesso tempo, le sanzioni contro la Russia sono riuscite a calare una “cortina di ferro economica” che sta avendo un impatto devastante sulle merci alimentari e sulle filiere mondiali.
“Centinaia di petroliere e cargo sono state dirottate dal Mar Nero, dove decine di navi sono ferme ai porti e al largo, nell’impossibilità di liberarsi del carico”, ha scritto AP il 4 marzo. L’Ucraina e la Russia rappresentano insieme il 30% delle esportazioni mondiali di grano, il 19% del mais e dell’80% dei semi di girasole. Dai porti del Mar Nero non esce nessuna di queste merci.
La Russia controlla il 44% delle forniture mondiali di palladio, l’Ucraina produce il 70% del neon, i due materiali cruciali per la produzione di chips. Ciò significa che l’industria automobilistica, quella dei computer, dei cellulari e quella aeronautica, tra le altre, soffriranno per la mancanza di microchip come è avvenuto l’anno scorso.
Al netto dell’impatto delle sanzioni – come l’esclusione dal sistema di pagamenti SWIFT, l’embargo di alcune tecnologie e dei voli – il clima politico che si è instaurato spinge le imprese industriali, commerciali e finanziarie ad abbandonare la Russia per paura di essere colte in violazione di qualche sanzione. Una pazzia collettiva si è impadronita di innumerevoli imprese globali che stanno chiudendo le linee di produzione, disinvestendo o lasciando il mercato russo.