Nel primo numero del 2017 prevedemmo che la dinamica della Nuova Via della Seta, originariamente lanciata dalla Cina nel 2013, sarebbe diventata ben presto determinante per via dell’approccio superiore della cooperazione win-win rispetto a un mondo unipolare. Sottolineammo allora che due vertici sarebbero stati decisivi per consolidare tale dinamica nel corso dell’anno: 1) il primo è stato il Forum Belt and Road che si è tenuto il 14-15 maggio a Pechino e ha riunito rappresentanti di 110 Paesi. Helga Zepp-LaRouche (nella foto), che era tra i relatori nella sezione dedicata ai centri studi, commentò allora che quel forum rappresentava un “cambiamento di fase per il genere umano”; 2) il secondo vertice è stato quello dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) che si è tenuto il 3-5 settembre a Xiamen, in Cina, dedicato alla promozione della cooperazione Sud-Sud per lo sviluppo economico.

La nostra previsione è stata confermata dai fatti: l’Iniziativa Belt and Road (“Una Cintura, Una Via”) è realmente diventata la locomotiva della crescita globale e il “nuovo paradigma” è ormai inarrestabile.

Un altro fattore decisivo nel 2017, naturalmente, è stata la Presidenza di Trump, che ha sparigliato talmente le carte che ancor oggi il mondo cerca di indovinare quale sarà la prossima mossa di Trump. Il neopresidente ha mandato all’aria i piani geopolitici dei suoi predecessori, in particolare con l’approccio di mantenere buoni rapporti con Russia e Cina e di porre fine alla politica del “cambio di regime”, anche se non tutti nella sua Amministrazione sono d’accordo con lui su questo. In ogni caso, proprio per questo Trump è stato fatto oggetto di attacchi senza precedenti da parte dei media.

Da noi, in Europa, è andato accelerando il processo di disintegrazione dell’UE. I Paesi dell’Europa Centrale ed Orientale si ribellano sempre di più ai diktat provenienti da Bruxelles e si rivolgono alla Cina per garantire la loro crescita. Ma anche Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, vittime della micidiale politica di austerità e bail-in della Troika, guardano sempre più a Est. La Francia ha fornito un’altra indicazione dell’instabilità in Europa in maggio, quando i due principali partiti, i repubblicani (conservatori) e i socialisti hanno subìto forti perdite nel primo turno delle elezioni presidenziali, lasciando il primo e il secondo posto al neofita Emmanuel Macron, che non è anti-establishment ma non è legato a un partito specifico, e a Marine Le Pen dell’estrema destra.

E ora in Germania, l’altro pilastro dell’UE, per la prima volta nel dopoguerra non c’è un governo a tre mesi dalle elezioni in cui hanno perso sia la CDU-CSU sia l’SPD, i due partiti che ora dovrebbero formare un’altra grande coalizione. La paralisi in Germania ha arrestato il processo di “integrazione” europea, accrescendo giorno dopo giorno l’entropia del sistema. L’UE nella sua forma attuale è spacciata ed è necessario un nuovo contesto istituzionale per evitare il disastro.

A livello strategico, solo due anni dopo che Vladimir Putin ha mandato le forze armate russe per debellare i terroristi jihadisti in Siria, l’ISIS è stato quasi sconfitto sia in Siria sia in Iraq. La battaglia non è finita, e continua in Afghanistan e in Libia, ma sono stati compiuti progressi importanti.

Sono in corso tentativi di risolvere la crisi in Corea del Nord con l’aumento della cooperazione tra Cina, Stati Uniti e Russia. È importante che Giappone e Corea del Sud, i cui rapporti con la Cina non erano ottimi in passato, soprattutto a causa dell’Asia Pivot di Obama, ora invece partecipino agli sforzi con la Cina per risolvere la situazione.

Un grande pericolo resta la mancanza di azione per impedire un altro crac del sistema finanziario transatlantico, che potrebbe esplodere in qualsiasi momento, infliggendo pesanti sacrifici alle popolazioni coinvolte (vedi sotto). Su questo fronte, il programma proposto dallo Schiller Institute a livello mondiale, a partire dalla legge Glass-Steagall, potrebbe definire l’agenda per il 2018.