Le udienze di conferma per Tulsi Gabbard (foto) a direttore della National Intelligence e per Kash Patel a direttore dell’FBI, la scorsa settimana, sono state teatro di scontri tra i difensori del vecchio ordine e gli sfidanti schierati da Trump per fare pulizia all’interno di organismi che hanno gestito un fallimento dopo l’altro. Gabbard e Patel hanno preso di mira con precisione i funzionari responsabili di questi fallimenti, mentre i senatori di entrambi i partiti, che difendono lo status quo della Comunità di intelligence (CI), hanno sostenuto che i due non sono qualificati, proprio perché rifiutano lo status quo!
Mentre le risposte calme e ragionevoli di Gabbard e Patel alle accuse provocatorie e spesso imprecise nei loro confronti ne accrescevano le simpatie degli osservatori, i cartelli e i think tank che danno forma alla narrazione della CI hanno ingranato la quarta. Sulla stampa più importante, come il New York Times, il Wall Street Journal e l’Economist, sono apparsi articoli denigratori. L’obiettivo era attaccarne la credibilità, per sostenere che la conferma porterebbe al disastro. Lo spauracchio peggiore più comunemente evocato dal cartello mediatico è che l’esigenza di trasparenza e onestà, che entrambi hanno sostenuto, significherebbe la fine della fiducia tra la CI degli Stati Uniti e quella del Regno Unito, consolidatasi sotto la bandiera della “relazione speciale”.
Durante l’audizione della Commissione Intelligence del Senato, la Gabbard è stata attaccata per aver contestato le narrazioni della CI sulla guerra in Ucraina, soprattutto la falsa conclusione che l’attacco della Russia all’Ucraina fosse “non provocato”; per il suo incontro con Assad in Siria nel 2017 e la sua successiva denuncia del sostegno degli Stati Uniti alle forze di Al Qaeda/ISIS dispiegate per un cambio di regime in quel Paese; infine per il rifiuto di definire traditore l’informatore della NSA Edward Snowden. Le sue risposte sono state dirette e ferme, sottolineando in ogni caso che la sua critica era valida e denunciava devastanti fallimenti dell’intelligence, fatti per difendere una politica statunitense sbagliata.
Ad esempio, ha sostenuto di aver avuto ragione sulla Siria. Il sostegno ai “ribelli moderati” contro Assad da parte delle amministrazioni Obama e Biden ha portato a ciò che lei aveva avvertito sarebbe accaduto, ovvero la presa di controllo della nazione da parte dei terroristi di Al Qaeda. Riguardo a Snowden, pur riconoscendo che “ha infranto la legge”, ha aggiunto che “ha denunciato programmi gravi, illegali e incostituzionali”, tra cui la sorveglianza di tutti gli americani. Si è inoltre impegnata a cambiare la legge, in modo che gli informatori in futuro possano avere la garanzia di una giustizia equa.
Anche Patel ha risposto in modo efficace agli attacchi che gli sono stati rivolti, passando all’offensiva e denunciando la politicizzazione dell’FBI, soprattutto nel caso Russiagate, che Patel ha contribuito a smascherare. Il Bureau si era basato sul dossier fabbricato dall’“ex” agente britannico Christopher Steele, rivelatosi poi completamente falso, come le dichiarazioni giurate dei funzionari dell’FBI, rilasciate per ottenere l’autorizzazione a intercettare la campagna e la Presidenza Trump.
I media transatlantici hanno naturalmente continuato a sostenere le ragioni degli accusatori di Patel e Gabbard, un fenomeno previsto dall’ex analista della CIA e attivista contro la guerra Ray McGovern. Parlando all’incontro settimanale della Coalizione Internazionale per la Pace il giorno dopo le udienze Gabbard-Patel, McGovern ha previsto che l’apparato della Comunità di Intelligence, che è stato smascherato e si sente così minacciato, tirerà fuori tutte le armi – sia legali che illegali – per assicurarsi che i senatori votino nel modo in cui la CI dice loro di votare. McGovern ha fatto riferimento alla ben nota tradizione dell’ex direttore dell’FBI J. Edgar Hoover, che raccoglieva dossier per ricattare politici e funzionari, spesso utilizzando intercettazioni ottenute illegalmente.
La decisione di Trump di nominare Gabbard e Patel è una risposta a queste vecchie pratiche di corruzione, in cui la CI era un’arma utilizzata per conto degli interessi privati dell’establishment. Sebbene i candidati abbiano dimostrato la determinazione richiesta da Trump per rovesciare la corruzione di lunga data all’interno delle istituzioni, la loro conferma rimane nelle mani dei membri della Commissione, alcuni dei quali sono stati scelti per farne parte a causa della loro propensione a sottostare alle richieste dello Stato di polizia. Il voto di questa settimana darà un’idea riguardo di quanto i membri del Senato riconoscono che l’elezione di Trump è stata un messaggio degli elettori americani che la loro tolleranza per il business-as-usual ha fatto il suo corso.