L’insolvenza del gruppo finanziario Greensill mostra che non è cambiato niente nel mondo della finanza dalla crisi del 2008: le banche commerciali sono usate per attrarre il denaro dei risparmiatori in investimenti ad alto rischio, esattamente come si faceva con la bolla dei subprime che scatenò la crisi finanziaria dodici anni or sono. Benché le dimensioni di Greensill siano relativamente piccole, non bisogna sottovalutarne il potenziale effetto valanga. Attualmente gli occhi sono puntati su GFG Alliance, il conglomerato dell’acciaio posseduto dal magnate indo-britannico Rajneev Gupta.
Greensill Capital, fondo londinese di proprietà della Greensill Holding di Sydney, fu creato nel 2011 da Lex Greensill (nella foto col principe Carlo) e si è specializzato nel finanziamento della catena delle forniture industriali e commerciali. Nel 2014, Greensill Capital rilevò la Nordfinanz Bank di Brema e la usò come fonte di capitali per espandere l’attività. Per mezzo di piattaforme digitali come “Weltsparen” e “Zinspilot”, migliaia di risparmiatori sono stati attratti dalla promessa di una discreta rendita e il loro denaro è stato investito nelle cartolarizzazioni del fondo londinese. Il bilancio della piccola banca di Brema esplose in breve tempo.
I guai cominciarono lo scorso anno, quando l’assicuratore di Greensill Capital, Tokio Marine, decise di non rinnovarne l’assicurazione sul credito e l’autorità della borsa tedesca, la BaFin, contestò il valore dei “receivables” contenuto nel rendiconto finanziario della banca. I receivables sono i pagamenti futuri di un cliente impacchettati in RPA (Receivable Purchase Agreements) e venduti a un terzo.
Il 1° marzo, Credit Suisse ha congelato 10 miliardi di fondi di investimento congiunti con Greensill. Un altro fondo svizzero, GAM, ha ritirato 700 milioni. Era solo questione di giorni perché la BaFin decidesse di chiudere la banca, cosa che ha fatto il 4 marzo, bloccando i pagamenti in uscita e in entrata.
Si calcola che i piccoli risparmiatori costituiscano un miliardo dei 3,3 miliardi di euro di esposizione della banca. Quei risparmiatori dovrebbero essere protetti ciascuno fino ad un importo di 100 mila euro dall’assicurazione sui depositi, cosa che invece non vale per molte amministrazioni locali, come la città di Gießen, che avevano depositi a vista presso la banca, e ora rischiano l’insolvenza.
L’8 marzo Greensill Capital ha portato i libri in tribunale. La seconda più grande società d’investimento private equity statunitense, Apollo, è in trattative per rilevare parte dei titoli. Un terzo dell’esposizione totale di Greensill Capital è nei confronti del gruppo GSG Alliance, e l’impero della famiglia Gupta sta ora cercando fonti di finanziamento alternative. Da notare che fino a pochi giorni fa, GSG era in trattative con Thyssen-Krupp per l’acquisto del gigante tedesco dell’acciaio.
Il caso Greensill è solo la punta dell’iceberg. In un mondo di tassi d’interesse negativi, milioni di risparmiatori alla ricerca di una rendita minima sono stati convinti, dalla banca o da piattaforme digitali (come nel caso GameStop), ad investire il loro denaro in titoli a rischio. Quando scoppierà la bolla finanziaria globale, i governi saranno dunque di nuovo sotto ricatto: se non salvano la bisca e i biscazzieri, risparmiatori e imprese perderanno il loro denaro. C’è un’alternativa ed è la separazione bancaria.